18/02/1999
Diario di pesca n°1
18/02/99
Le previsioni meteorologiche di oggi sono: vento forte di ponente, così decido
di partire con il gommone da Porto Cervo e impostare la battuta di pesca sulla
costa orientale.
All’alba il vento non si è ancora alzato, solo una leggera brezza increspa il
mare. Il motore va solo a due cilindri, un carburatore deve essersi sporcato, il
solito problema del tre cilindri Yamaha!
Non posso spingermi lontano, scelgo gli scogli al largo dell’isola delle Bisce,
poco distanti dal porto, dove il giorno precedente il Maestrale deve aver
ammucchiato molta mangianza.
Il lato nord di questi scogli mi ha regalato già diverse catture all’agguato di
dentici di grosse dimensioni e l’ultima volta ho visto anche una ricciola solitaria
di buona taglia.
Sono in acqua quando il sole si è appena alzato sull’orizzonte e come previsto
nelle piccole insenature si sono raccolte le carcasse di una medusa, la Pelagia
noctiluca spinte dalla mareggiata del giorno precedente.
Ho il sole alle spalle e accostato in superficie vicino alle rocce, sul lato esterno
degli scogli, riesco subito a distinguere un pizzuto di circa 4 etti che pilucca le
alghe in parete, sono coperto da un promontorio di roccia e la sua coda appare
e scompare mentre mangia, ogni tanto si stacca per controllare il circondario,
appena si riavvicina alla parete per un’altra passata e la testa scompare dietro
le rocce, mi immergo con una capovolta a delfino, scivolo lungo il declivio e
lentamente mi affaccio oltre lo sperone roccioso.
Le mie vibrazioni devono avere sfiorato i sensori della sua linea laterale perché
viene verso la mia direzione girando inquieto il suo piccolo occhio. Si staglia di
piatto illuminato dal sole contro il fondale scuro e mi permette un tiro piazzato
senza storia, dietro l’opercolo, sulla linea laterale. Proseguo l’ispezione della
costa frastagliata in superficie e sorprendo un grosso branco di salpe che
mangiano e ricoprono un’intera parete di roccia.
Mi metto anch’io a strappare qualche ciuffo d’alga e poco dopo, il primo
gruppetto mi viene incontro; le lascio sfilare controllando se nei drappelli che si
susseguono c’è una preda più interessante e mi passano davanti, in
accelerazione, 400/500 salpe della stessa taglia .
Poco più avanti sono sulle lamiere di un vecchio relitto che giace a pochi metri
di profondità e fino a qualche anno fa mostrava il pennone ritto fuori
dall’acqua, ho ancora negli occhi una scena vissuta, quando affacciato su
queste lamiere ho sorpreso un gruppetto di spigole di 3 chili, oggi distinguo
solo qualche pizzuto che nervosamente dimostra di avere avvertito la mia
presenza.
Proseguo, sono ormai all’ultimo gruppo di scogli dove il fondo scende ripido sui
25 metri . In un canalone provo una discesa lenta che mi permetta alla fine di
affacciarmi sullo strapiombo e subito si stacca dalla parete verticale un altro
pizzuto, cerco di pesarlo a vista quando da un canalone parallelo compare
un’orata.
Ho il fucile in un’altra direzione e lentamente cambio l’asse di tiro, è un pesce
di 6 etti, giovane e inesperto, mi guarda immobile e cerca di capire cosa si sta
muovendo, ma ormai è a tiro! Sono anni che questi scogli non offrono più
spigole e l’ultima cattura mi convince a cambiare strategia di caccia:
abbandono l’agguato dalla superficie indicato nella pesca alla spigola, per
l’agguato in parete più consono alla conformazione della parete e alla caccia
degli sparidi.
Pochi metri più avanti sono premiato, per questa scelta: un’orata sul chilo,
all’ennesima discesa lungo un canalone, mi si para davanti proprio
sull’allineamento di tiro del fucile. Anche questo è un tiro piazzato senza
difficoltà. Sono arrivato nel punto più interessante di questi scogli: il lato nord,
ripido e con qualche massone alla base. Mi eccito incontrando un altro banco di
salpe proprio nello stesso punto dove forse un mese fa ho catturato all’agguato
un dentice solitario di 6 chili.
Ma i loro scarti bruschi e nervosi allontanano solamente un piccolo branco di
saraghi maggiori e qualche fasciato.
Provo qualche immersione più profonda , appoggiato sul fondo sento dei colpi
di coda, guardo verso l’alto e un grosso banco di occhiate si staglia contro il
bagliore della superficie.
Aspetto invano che compaia una delle ricciole che in questi ultimi anni
svernano nell’arcipelago de la Maddalena. Provo ancora fino ad esaurire il lato
nord, poi decido di ritornare sotto costa: devo percorrere la fila di scogli fino al
gommone ormeggiato all’altra estremità passando all’interno.
Solitamente in questo lato accelero l’andatura perché il fondo basso di sabbia e
alghe non è molto interessante.
Mi fermo comunque a spiare dietro ogni promontorio e proprio da uno di questi
scopro tre orate a testa in giù intente nella loro operazione preferita: ingozzarsi
di piccoli molluschi.
Senza ventilare affondo in verticale aiutandomi con la mano perdo il contatto
visivo e mi affaccio lentamente, ho a tiro forse la più piccola, ma vicino c’è
quella leggermente più grossa: una piccola deviazione del polso con una spinta
in avanti dell’avambraccio e parte il tiro che la infila dalla coda alla testa
lasciandola immobile.
Torno al gommone e torno indietro verso gli isolotti dei Nibbani. Scelgo quelli
più a nord, privilegiando un senso di marcia nord/ovest che lasci il sole alle mie
spalle, ma la scelta di questo posto si rivela sbagliata: provo in parete, sul
fondo, solo qualche sarago qua e la!.
Ad una discesa su un fondale di 15 metri, da sotto uno scoglio, in una zona in
ombra, si intravede un bel sarago che mastica, proseguo la discesa in caduta e
sorprendentemente il pesce mi viene incontro. E’ un bel sarago di 7 etti che
appena catturato rigurgita pezzi di cappella della noctiluca . Quando gli sparidi
masticano dimostrano di avere una scarsa ricezione a livello della linea laterale
e gli avvicinamenti diventano più facili.
A parte questa cattura le successive immersioni si susseguono con noia e la
concentrazione scende ai più bassi livelli. Cerco il pesce spostandomi su diverse
batimetrie senza risultato, giunto alla fine della fila di isolotti prima di tornare
indietro passando all’interno del canale dei Nibbani, decido di provare un paio
di immersioni sulle secche che si ergono a nord degli ultimi scogli: ad ottobre
un giorno festivo del fermo biologico, quando la pesca sportiva era consentita,
avevo catturato una cernia di 17,5 chili che passeggiava sul fondo vicino ad
uno spacco in compagnia di un cernione.
L’idea di rincontrarlo accende il mio interesse e alza il livello della
concentrazione. Lo spacco taglia, nella parte alta orizzontalmente, una grande
roccia di granito tondeggiante che successivamente, scendendo verso il fondo,
cambia inclinazione e diventa verticale oltre ad allargarsi su un fondo di sabbia
pulita.
Eseguo l’immersione a cadere sull’estremità alta dello spacco per ispezionarlo
tutto dalla parte stretta fino a dove si allarga. A volte nella zona angusta si
rifugia qualche sarago e nel passato vi ho catturato più di una corvina. Tutto
senza vita fino a dove si allarga: sul bianco della sabbia, invece, ecco che si
staglia la sagoma di una bella cernia, in candela, che mi fissa. Ho tenuto il
fucile sempre con l’allineamento dentro lo spacco e mi trovo il muso della
cernia davanti alla punta dell’asta che dopo il tiro le entra in mezzo agli occhi.
Lei cerca di guadagnare la parte stretta dello spacco ma è un gioco da ragazzi
tirare la sagola e farla salire con me verso la superficie.
A conferma che una tana dove si è catturata una cernia può, anche nel futuro,
dare rifugio ad un altro pesce della stessa specie.
Nel tragitto di ritorno, continuo a osservarla per constatare che non è la
compagna di quella che avevo catturato ad ottobre: questa è più piccola , al
peso si confermerà di 13 chili. Mentre nuoto, la giro tra le mani, le tolgo una
pulce dalla pinna ventrale che appena tolta se la fila verso il fondo in cerca di
una nuovo ospite, intanto le osservo gli occhi e mi accorgo che come la ruoto
sul suo asse longitudinale anche gli occhi ruotano sullo stesso asse. La cernia è
ancora viva quindi ha intatti tutti i suoi riflessi. Il tempo di arrivare al
gommone ed ho intuito la ragione del fenomeno.
L’occhio della cernia ha una sclera abbondante che le consente una ampia
rotazione nell’orbita oltre una certa estroflessione per migliorare la visione
bioculare. Il suo organo visivo è un vero gioiello: può ruotare gli occhi
indipendentemente , tanto per intenderci non come noi umani che li ruotiamo
insieme e possono solo convergere nel punto che stiamo osservando. La cernia
ha uno strabismo funzionale e può guardare con un occhio in avanti e verso il
basso mentre l’altro guarda indietro e verso l’alto.
Ho già evidenziato nell’articolo sull’occhio dei teleostei che la cornea ( la parte
esterna, trasparente a contatto con l’acqua, prosecuzione della sclera) è
pigmentata nel settore che è rivolto verso la superficie per fare da schermo ai
raggi luminosi che provengono dall’alto e che potrebbero abbagliare i sensori
della retina ( effetto occhiali da sole) Questa soluzione è obbligata dalla
mancanza, nei teleostei, di una palpebra e di una pupilla contrattile.
La scoperta di oggi riguarda un riflesso motorio, determinato sicuramente dalle
cellule sensoriali della retina, che ruota l’occhio contemporaneamente alla
rotazione del corpo in modo che la retina non si trovi mai investita dai raggi
luminosi diretti, ma ponga nella direzione della luce la parte pigmentata della
cornea che filtrerà la luce troppo intensa. Questa rotazione non è volontaria,
non voglio pensare che la cernia con un’asta conficcata nella testa decida di
ruotare l’occhio verso il basso quando la giro a pancia in su per ripararsi dalla
luce del sole!
VENERDI 20 FEBBRAIO
Nonostante il mare calmo e l’assenza di vento ho privilegiato ancora la costa
orientale, forse per la pigrizia di affrontare il viaggio verso Santa Teresa, forse
per la doccia calda di cui posso godere al rientro a Porto Cervo.
La scelta non si è rivelata sbagliata in assoluto perché si è presentata
l’occasione di una cernia sui 10 chili al Mortoriotto e una ricciola di 7/8 chili
nella secca a nord del Mortorio dove quest’anno si è raccolto un branco
eterogeneo che ha già fruttato 4 ricciole circa due mesi fa.
Le 5/6 zone sotto costa che ho visitato hanno rivelato una insolita mancanza di
vita per questa stagione. Il poco pesce si concentra in certi siti tra i 15 e i 25
metri. Ma l’acqua molto torbida per le mareggiate dei giorni precedenti rende
impossibile l’avvicinamento all’agguato: tutte le varietà di pesci in queste
condizioni sono allertati dall’impossibilità di poter definire visivamente l’origine
dei rumori che produco durante la discesa e nei piccoli spostamenti sul fondo.
Anche i pesci di piccole dimensioni si dimostrano diffidenti. E’ molto più
producente la tecnica dell’aspetto anche se in questo caso bisogna accelerare
la discesa per ridurre il tempo di permanenza nella colonna d’acqua: i pesci
avvertono i miei rumori fin dalla superficie per le condizioni di mare calmo, si
avvicinano per avere un’informazione sull’intrusione, ma se mi trovano ancora
in movimento o in fase di assestamento sul fondo, si allontanano subito.
Inoltre sulle secche lontano dalla costa non si riesce a capire da dove può
arrivare il pesce, per la scarsa visibilità ( 6/7 metri ) è sempre difficile
impostare per tempo la direzione di tiro, la loro presenza si nota solo all’ultimo
momento e lo spostamento del fucile viene avvertito facilmente per la distanza
ravvicinata. La battuta si è conclusa con un carniere complessivo di 4,2 kg :
tutti saraghi tranne un’orata di 6/7 etti .