Venerdì 30 luglio, all’alba sono in gommone con Lucio.
Navighiamo verso la secca dei Monaci, lontana più di un miglio dalla costa, al
largo di Caprera.
Ho avuto l’opportunità di visitare questa risalita granitica , solo poche volte in
questa stagione, sempre con risultati entusiasmanti.
Dopo la delusione di capo Corso e del banco di Centuri ho proprio bisogno di
“rifarmi gli occhi e il cavetto portapesci”!
Ieri, al primo giorno dal rientro dopo l’esperienza corsa, ho catturato un
dentice di cinque chili sulla secca segnalata da una boa rossa, proprio all’uscita
del porto di Santa Teresa: la cattura dei dentici che dovevo filmare al nord
della Corsica si sta verificando, paradossalmente, vicino a casa!
Intorno alla meda che segnala la secca dei Monaci l’acqua ribolle, in assenza di
vento, in maniera preoccupante. Calata l’ancora, osservando l’elica del motore
spento messa in movimento dalla corrente e mi rendo conto che è impossibile
immergersi a costo di una immensa fatica.
Senza essere nemmeno entrati nell’acqua, torniamo indietro, verso la secca
delle Bisce, dove la volta precedente avevo catturato un dentice di sei chili.
Ritrovo lo stesso branco di corvine già descritto nel diario n° 8.
Sono diventate più furbe, mi sentono dalla superficie e si posizionano nervose
tra i sassi più profondi, dove il canalone roccioso termina sulla sabbia.
Dopo un primo tentativo di avvicinarle, rinuncio per non esasperarne il
comportamento nel prossimo futuro.
Ho notato che tutti i pesci hanno un’ottima memoria corta ma difettano in
quella che invece è il pregio degli elefanti!
Razzolo qualche sarago prima di ritrovare il sommo della cattura del dentice.
Le cernie non ci sono, ma mi consolo con qualche bella corvina!
Una leggera corrente mi fa sperare in un pelagico, anche per l’abbondante
minutaglia di pesce azzurro , la colonna d’acqua, però, resta deserta!
Dopo un’ora mi ritrovo con Lucio sul gommone che mi racconta di essersi
trovato di fronte ad una ricciola lunga quanto il gommone (si fa per dire), in un
punto poco distante dal punto di ancoraggio.
Gli si è presentata anche l’occasione di catturare un dentice, che dalle
proporzioni del suo racconto, deve essere il fratello maggiore di quello che
avevo catturato la volta scorsa.
Per scaramanzia, cambiando area di pesca, ripeto lo stesso spostamento della
volta precedente.
La trasparenza dell’acqua è ai massimi stagionali: a 25 metri di profondità si
distingue bene la morfologia del fondo!
Continua la mia serie fortunata con le corvine: ne individuo un gruppetto
intorno ad un lastrone e strisciando, strisciando…
Improvvisamente viene all’aspetto una motovedetta della Guardia di Finanza,
ci gira intorno curiosa, proprio come un pelagico.
Distinguo sei militari a bordo, alla fine uno non resiste e ci chiede quanti metri
di fondo ci sono, mentre un altro, se stiamo pescando!
L’anno scorso sulla secca di punta Capaccia, al largo dell’hotel Romazzino, si
era avvicinata al mio gommone ancorato, una motovedetta della capitaneria di
porto e nonostante il pallone in acqua, un militare aveva cercato di salpare con
il mezzo marinaio la mia cima dell’ancora .
Col pallone mi trovavo distante cinquecento metri circa e solo con un urlo
disperato ero riuscito ad interrompere l’operazione (immaginate di dover
nuotare per due miglia per tornare a terra!)
Sia io che Lucio assumiamo subito l’espressione da bravi ragazzi, per evitare le
lungaggini di un controllo.
Se ne vanno e noi riprendiamo a pescare.
Lucio sta prendendo confidenza con la quota –20 e cattura una corvina, ha
visto anche una bella cernia ed altre corvine infilarsi sotto un sasso. Non vado
neanche a guardare perché conosco bene il loro trucco di infilarsi da
un’imboccatura e uscire alla chetichella dall’altra parte.
La giornata sta offrendo buoni risultati e soddisfazioni adeguate al livello di
entrambi.
Manca solo la ciliegina sulla torta e Inconsapevolmente vado a raccoglierla
sulla secca della meda del golfo del Pevero.
Rientrando dalla secca delle Bisce passiamo davanti a Porto Cervo per
raggiungere il golfo che gli è adiacente. L’intenzione era di fare una
sommozzata sulla secca del Cervo, ma siamo nell’ora di punta del traffico
nautico e qui nessuno rispetta la boa segnasub (il mio ricordo, in questo
momento, va all’arch. Marcozzi carissimo amico e compagno di pesca che in
queste acque ha lasciato la vita falciato da un motoscafo).
Lascio Lucio vicino alla meda e mi allontano per il controllo di un gruppo
roccioso che ha visto protagonista Silvano Agostini al campionato assoluto
vinto da Antonini qualche anno fa.
Protagonista, anche per un “coccolone” del quale sono stato testimone
impotente (gli facevo da “secondo” assistendolo dal gommone) e che lo ha
obbligato al ritiro dopo due ore di gara, con un buon carniere di saraghi,
sufficiente per la permanenza in prima categoria.
Il cappello, a 26 metri di profondità di questo gruppo granitico appoggiato sulla
sabbia a 28 metri, non è perfettamente visibile dalla superficie perché in tutti i
golfi di questa zona della Sardegna, l’acqua tende ad intorbidirsi.
Poche sommozzate per avere la conferma che questa secca non si è più
risollevata dal prelievo di quel campionato: a quel tempo, c’era un branco
sterminato di saraghi, molte corvine e qualche cerniotta.
Su questa secca hanno pescato a contatto di gomito ben sei atleti , tra i quali
Cottu, Bardi e Cappucciati.
L’ho rivisitata spesso, da allora, sempre senza successo.
Anche i giovani saraghi , sicuramente, non ancora nati in occasione di
quell’evento, hanno un comportamento nevrotico.
Sembra che i pesci superstiti vi abbiano messo una invisibile lapide
commemorativa per tenere lontane le generazioni future.
Mi accorgo che nel golfo stanno effettuando una regata velica, solo ora ne
individuo le boe di virata ed altri segnali che sembrano di un tramaglio.
Raggiungo Lucio per toglierlo dal campo di regata, ma pur vedendomi arrivare
si attarda, un tuffo dopo l’altro.
Quando si trova in immersione vedo il suo pallone spostarsi sull’acqua di molti
metri e non riesco a capire che tecnica di pesca stia impiegando.
Finalmente si accorge della mia presenza e mi avverte che una nuvola di
saraghi si è rifugiata su un costone pieno di spacchi.
Calo subito l’ancora e mi immergo vicino a lui.
Lucio, allora, mi segnala uno sperone di roccia con un sasso appoggiato: dallo
spacco sottostante fa capolino una cerniotta.
Giro intorno al sasso e scovo un bel sarago dal comportamento preoccupato ed
ansioso. Lo indico a Lucio che lo colpisce un po’ basso, incastrando l’asta.
Nell’operazione di recupero il sarago si libera così inizio l’operazione di ricerca
sotto i sassi circostanti.
A dieci metri dallo sperone in questione due o tre metri più in profondità,
esattamente 12 metri di fondo, un bel sasso squadrato, appoggiato sulla
sabbia, mi invita a dargli un’occhiatina.
Quando mi affaccio nello spacco sottostante, non credo ai miei occhi: un’orata
di un paio di chili, appena sollevata dal fondo e messa di fianco, si presenta
immobile, il muso puntato contro la roccia.
Non perdo tempo e prontamente la fulmino con un tiro sulla linea laterale. Sto
per tirare la sagola dell’asta per recuperare il pesce, quando ne scorgo altre
due appoggiate sulla sabbia: una è decisamente più grossa delle altre.
Chiamo Lucio, lo metto al corrente della situazione e organizzo un’immersione
in coppia: lui tirerà al pesce di destra io a quello di sinistra.
Detto, fatto!
Complessivamente il peso delle orate si
avvicinerà a sei chili.
Naturalmente, mi metto a controllare tutti i
possibili rifugi adiacenti e mi accorgo che la
secca era circondata da un tramaglio.
Ecco, dunque, la spiegazione per quell’ameno gruppo di orate dentro una tana!
Girando ancora intorno alla meda, scovo altri saraghi di buona taglia dal
comportamento insolito: al mio arrivo, si posizionano di muso contro il fondo
per offrire la loro sezione posteriore più piccola possibile e
contemporaneamente tenermi sotto osservazione.
Alcuni entrano ed escono da alcune tane troppo anguste.
La mia interpretazione di questa situazione è che tutti i pesci siano stati
sorpresi intorno alla meda quando è stata calata la rete ed abbiano cercato
rifugi provvisori in attesa che il pericolo fosse passato.
In pratica il tramaglio ha condizionato il loro comportamento bloccando la loro
posizione e noi ne abbiamo approfittato!