n.12 - Diario di pesca

Siamo nella prima decade di novembre, in una stagione che nel centro del
Mediterraneo si presenta spesso con delle caratteristiche bonacce.
Le perturbazioni atlantiche stanno passando più a nord, portando piogge
torrenziali, alluvioni e dissesti del territorio.
In Sardegna, invece, viviamo con rassegnazione una siccità eccezionale: i fiumi
e i torrenti alimentano gli sbocchi a mare con poca acqua, fenomeno che, a
mio avviso, contribuisce, sotto costa, a ritardare l’arrivo delle spigole.
Dopo due mesi strepitosi: settembre, ottobre, per la cattura delle orate nel
basso fondo, improvvisamente, questi sparidi sono spariti!
Ho terminato di girare le riprese dell’agguato all’orata
dalla superficie, giusto in tempo per
quest’avvenimento che voglio documentare anche con
altre osservazioni.
Dopo settimane di costanti perlustrazioni del basso
fondo con la mia videocamera, alla disperata ricerca di
qualche spigola da “riprendere”, deluso dagli
insuccessi, ho appeso tutta l’attrezzatura vudeografica
al fatidico chiodo.
Due giorni fa, dopo l’ennesimo “cappotto” sotto costa, mi sono spostato,
finalmente su una secca al largo, con il cappello a 20 metri di profondità ed ho
avuto la sorpresa di catturare in una maniera avventurosa un dentice di sei
chili.
Ero intento ad amoreggiare con un sarago che “non ne voleva sapere”, quando
il predatore si è materializzato all’improvviso nell’acqua lattiginosa.
Ci siamo scrutati entrambi con una certa sorpresa, poi con lentezza
estenuante ho iniziato a spostare il fucile nella direzione del suo muso, mentre,
lui con una rapida virata si è girato di 180°.
Mi stava offrendo la coda quando ho scoccato un tiro a quattro metri di
distanza.
Un tiro disperato che ha colpito il peduncolo di coda di un pesce ormai lontano!
Quel giorno stavo impiegando il “fucile da basso fondo” senza il mulinello,
attrezzato per pesci piccoli e per tiri a breve distanza. In pratica avevo montato
sul Monoscocca 100 elastici da 16 mm, lunghi 26 cm ed un’asta corta,
monoaletta, da 6 mm di diametro, per 140 cm di lunghezza.
Il mio fucile attrezzato per la pesca del dentice, invece, prevede l’impiego di
un’asta da 150 cm di lunghezza, doppia aletta ed elastici corti da 18/20 mm di
diametro, oltre naturalmente ad essere provvisto del mulinello.
In conclusione l’asta non riesce a passare il corpo del pesce che si disarpiona
subito, ma con mia gran sorpresa si dibatte convulsamente restando sul posto!
La punta si era conficcata proprio nella spina dorsale ledendo i centri nervosi,
di fatto, paralizzando i centri motori del dentice.
Subito dopo il tiro, sono stato costretto dalla “fame d’aria” a risalire in
superficie. Da galla, però, non riuscivo a vedere distintamente il fondo:
intravedevo solamente la specchiata della livrea del pesce ad ogni convulsione.
In questi frangenti, per l’emozione, la ventilazione indispensabile a preparare
l’immersione successiva, non produce mai quel senso di
benessere/appagamento necessario ad iniziare l’apnea e i secondi di attesa in
superficie sembravano eterni.
Finalmente, mi sento pronto, ma non vedo più la specchiata del pesce!
Solo poche settimane prima avevo “strappato” l’orata della stagione (stimata
quattro/cinque chili) per aver prolungato il tempo di ripresa della cattura e sto
già imprecando contro la sfortuna, costante nemica del pescatore subacqueo!
Dopo i primi metri d’immersione, però, mi accorgo di un grosso sasso
appoggiato sul fondo che “fa tana”.
Prima ancora di affacciarmi alla spaccatura, ho già capito che il dentice è lì
dentro: due sciarrani stanno puntando con interesse l’ingresso dell’occasionale
nascondiglio!
Il sangue del dentice ha intorbidito l’imboccatura, così, sono costretto a tenere
chiusi gli occhi, per qualche secondo, per di assuefarmi all’oscurità
dell’anfratto. Poi lo intravedo: mi offre ancora la coda, ma il tiro è ravvicinato,
a pesce fermo non posso sbagliare!
Questa cattura non mi ha illuso di trovare ancora i branchi di dentici sulle
secche profonde, come d’estate.
Si trattava sicuramente di un solitario venuto su quel cappello di roccia a fare
lo “sciacallo”.
In questa stagione, infatti, la bassa temperatura dell’acqua non consente più al
dentice di produrre gli scatti fulminei necessari alla predazione, infatti, la
maggior parte di loro sono migrati in località più profonde dove probabilmente
trovano “cibo facile” (sono informato sulla loro dislocazione dai racconti delle
catture realizzate dai pescatori alla traina o con i palamiti, ora si trovano a
60/70 metri di profondità).
I teleostei sono dei vertebrati pecilotermi, in altre parole, il loro corpo assume
la temperatura dell’ambiente esterno: come le lucertole che si scaldano al sole
perché i muscoli raggiungano la temperatura per guizzi necessari alla caccia,
anche il dentice ha bisogno di trovarsi nell’acqua calda per sviluppare la
massima velocità che gli consente la sua grande massa muscolare.
Passata l’estate, nell’acqua più fredda, il dentice è la parodia dello splendido
predatore che è sopra il termoclino estivo.
Diventa goffo, impacciato ed i piccoli pesci si prendono la rivincita in agilità e
destrezza, riuscendo, quando sono in buona salute, a fuggire e a lasciarlo con
la bocca asciutta.
Il giorno successivo alla cattura del dentice, fatto tesoro di quell’esperienza,
predisposta la zavorra da pesca profonda (senza schienalino, con tre chili di
piombi complessivi in meno), decido di ispezionare una secca al largo dell’isola
di Caprera, dove ammassi di granito si alternano alla posidonia ed alla sabbia.
Con mia grande sorpresa alle prime immersioni incontro alcuni branchi di orate
ed altri individui adulti solitari che stanno mangiando tra le foglie della
posidonia.
Al momento dell’avvistamento, ogni branco è venuto a controllare la mia
posizione sul fondo, contravvenendo al comportamento standard di questa
famiglia di sparidi che ha un ridotto stimolo al controllo territoriale e raramente
“viene all’aspetto”.
Durante il periodo riproduttivo, però, tutte le specie esaltano il loro istinto del
controllo territoriale!
Nessuno di questi pesci, tuttavia, si è mai avvicinato a tiro.
Ho rinunciato, così, alla tecnica dell’aspetto, per mettere in atto la mia
strategia dell’agguato in profondità: tra un sarago e l’altro, così, sono riuscito
ad arpionare anche un’orata di un chilo e mezzo che, sicuramente, non sarei
riuscito a catturare all’aspetto.
I giorni successivi, per assecondare un amico col quale divido le battute di
pesca ma non gradisce le immersioni profonde, sono tornato nel basso fondo e
sulla calata di una sciroccata ho catturato tre oratelle, avvistandone diverse
altre.
Pesci, senza dubbio, sessualmente maturi, ma inesperti che, per chissà quale
ragione, non stavano partecipando al montone della loro specie in atto tra i 20
e i 30 metri di fondo (una di queste ha lasciato una strisciata di sperma appena
l’ho appoggiata sul paiolo del gommone).
Incontro anche un dentice, stimato più di cinque chili di peso, e ne catturo uno
di più di tre chili!
In autunno/inverno, infatti, individui solitari si avvicinano anche sotto costa per
rimediare un pasto facile sul calo di una mareggiata.
In questo resoconto ho voluto approfondire le abitudini di due specie,
appartenenti alla stessa famiglia, ma così diverse in quanto a “riproduzione” e
“alimentazione”.
Tutte le considerazioni, comunque, confermano le osservazioni effettuate nello
stesso periodo anche negli anni precedenti: riguardo alla presenza, nel basso
fondo, solo di giovani esemplari di orate (mentre le adulte sono impegnate
nella riproduzione in profondità) e l’avvicinamento di grossi esemplari di dentici
solitari sulla scaduta delle mareggiate.