n.15 - Diario di pesca

Questo diario si collega a quello precedente in quanto analizza la dislocazione
del pesce nel periodo invernale partendo da alcune considerazioni generali .
A conclusione dell’esame dell’attuale ciclo ero giunto alla convinzione che nel
Nord est della Sardegna c’era uno scarno reclutamento di specie nel sotto
costa, mentre, in zone ristrette si trovava qualche presenza interessante a
quote medio/profonde.
Le attente osservazioni odierne unite a quelle dei giorni antecedenti,
confermano ancora una volta questa analisi che nel presente diario amplierò
con un ulteriore approfondimento.
Due giorni fa, stanco di cercare senza successo le spigole nel basso fondo,
impostata la piombatura per l’aspetto oltre i venti metri, sono partito verso la
secca dei Monaci con l’intenzione, più che altro, di esplorare una secca lontana
della costa.
Abbandonato il Monoscocca con asta da sei mm di diametro, impiegato proprio
per la sua maneggevolezza nell’agguato in superficie, ho armato un fucile
sperimentale della Thotem, con mulinello ed asta da 6.5 mm perché su queste
secche profonde, di solito d’inverno, non si va per funghi!
Alla prima immersione, la sensazione sgradevole di immergermi senza poter
vedere il fondo, mi ha fatto subito rimpiangere l’agguato in superficie, poi
prima di atterrare si presenta una scena inquietante: era in corso il raduno
delle murene, da ogni spacco spuntava una testa minacciosa con la bocca
spalancata.
Pur avendo constatato più volte la timidezza di questo anguilliforme, forse per
un condizionamento atavico di diffidenza verso i sauri, preferisco non
appoggiarmi accanto alle loro tane.
Superate le prime sgradevoli immersioni, riuniti in piccoli gruppi, individuo
finalmente alcuni saraghi delle tre diverse varietà, tutti approssimativamente
della stessa taglia (tre, quattro etti).
Credo per la mancanza di tranquillità interiore, durante gli spostamenti
all’agguato, però, non riesco ad avvicinare uno!
Cambio tecnica, ma anche dopo i primi “aspetti” sui cappelli, mi accorgo che
così “appollaiato”, non riuscirò a fare avvicinare un pesce e che la tecnica
dell’aspetto deve ricalcare quella che adotto d’estate, posizionato molto più in
basso, alla base delle guglie, nelle zone più scure del fondo.
Dopo un imprecisato numero di immersioni senza alcun avvistamento,
improvvisamente nell’indefinibile colore grigioverde della colonna d’acqua si
staglia un branco di tanute. La torbidezza dell’acqua mi lascia un po’ perplesso
sulle loro reali dimensioni e soprattutto sulla distanza dalla punta dell’asta.
Provo un tiro piazzato, senza molta convinzione, e una tanuta di un chilo e
mezzo si trova infilzata al limite dei quattro metri dal fucile: sembrava più
piccola e più vicina!
Il rumore delle code delle altre componenti del branco in fuga, da l'impressione
di un volo di pernici schizzate da un cespuglio.
Nel tuffo successivo un identico rumore, questa volta più sordo e potente, mi
fa gelare il sangue.
Non vedo nulla!
Dopo qualche secondo si materializza un branco di ricciole che non riesco a
contare perché copre tutta l’area visibile: cento, duecento o forse di più.
Alla loro prima passata perdo l’attimo: c’è un po’ di corrente e il fucile con
l’asta da 6.5 mm non si vuole spostare.
Passano ancora due, tre volte, molto veloci, sicuramente allarmate dalla
scodata delle tanute, poi una con l’occhio più arrogante delle altre mi punta e
sfila davanti alla mia postazione.
“Gliela tiro” sulla linea laterale e quando l’asta penetra, non fa alcun rumore.
La sensazione di sicurezza quando si impiega una freccia pesante rende la
risalita tranquilla come una discesa.
Anche la fase di dibattimento del pesce ha meno storia, eppure sono dieci chili
di muscoli, ma più di tutto conta l’aver toccato la spina dorsale della ricciola!
La prima domanda che mi è sorta spontanea in quel momento è: cosa ci fa un
branco di ricciole così numeroso, d’inverno, contro una secca dove d’estate e
nelle altre stagioni si incontra raramente.
Non so cosa rispondere, devo solo constatare che ogni anno questo fenomeno
si ripete: quattro o cinque anni fa con ricciole di due chili e stagione dopo
stagione con pesci sempre più grossi, fino all’anno scorso con pesci di sette
chili e quest’anno di dieci chili di peso.
E’ lo stesso branco!
Non posso documentarlo con certezza ma ho questa sensazione.
Evidentemente, questo cappello isolato in mezzo al mare è nel tragitto della
migrazione stagionale dello stesso branco di ricciole che ogni anno ritorna a
visitarlo.
Per l’approfondimento di questa osservazione voglio citare uno studio
pubblicato sulla rivista della S.I.B.M. (società italiana di biologia marina)
redatto da numerosi ricercatori dell’Università di Bari: G. De Metrio, M. Cacucci
ecc. riguardo i risultati delle campagne di marcatura all’Alalunga (Thunnus
alalunga) condotte nello Ionio settentrionale e nell’Adriatico meridionale nel
periodo 90/95.
Lo scopo di queste campagne di marcatura era di ottenere informazioni sui
movimenti migratori e sull’accrescimento di questa specie.
Al momento della pubblicazione dello studio, di 897 esemplari marcati ne erano
stati ricatturati 7. La conclusione interessante di questo lavoro è che “...Tutte le
ricatture erano avvenute nella stessa area di cattura, a poche miglia dalla zona
di rilascio….”
Un animale addirittura era stato libero tre anni prima della successiva cattura
nella stessa area.
Il tonno alalunga non è una ricciola, ma è interessante notare come una specie
pelagica abbia dimostrato di avere punti fissi di riferimento nelle sue
migrazioni, probabilmente, specifici dello stesso branco a cui appartiene.
Preso il pesce mi sono subito allontanato perché i conti in banca vanno gestiti
con oculatezza e non si sperperano mai!
Il giorno dopo sono d’accordo con un amico di impostare una battuta al sud
della Corsica, naturalmente, ogni volta che decido di attraversare le Bocche di
Bonifacio, si alza una sventolata da grecale da sbiancare il mare, ma il nostro,
si sa, è uno sport per uomini duri!
Provo subito sulle secche al largo di Capo di Feno, sui lastroni dove ho girato
alcune scene del video “l’agguato profondo “: manca poco che ammazzi un
cernione per reazione allo spavento che mi ha fatto prendere uscendo come un
fulmine da una spaccatura (di sicuro non morirò nel mio letto, ma d’infarto
provocato da una forte emozione!)
Trovo il solito branco di corvine fuori tana, ma stranamente sono tutte di
piccola taglia.
Una fastidiosa corrente da levante mi fa sembrare i venti metri di fondo troppo
lunghi per insistere nella ricerca, così smetto le ostilità con solo sarago nel
portapesci.
Continuiamo spostandoci <a staffetta> verso ovest, pescando nel basso fondo
e la situazione si presenta non molto diversa da quella riscontrata in Sardegna.
Alla fine conto nel carniere un’orata di un chilo e mezzo e una decina di
saraghi, troppo poco per giustificare un viaggio così lungo e faticoso!
Finito il preambolo dei giorni precedenti, affronto le vicende della giornata di
oggi:
la visione del branco di ricciole di due giorni prima, mi ha perseguitato tutta la
notte e nonostante la mia regola di non tornare in una zona di pesca, a breve
termine, non resisto alla tentazione di rincontrarlo.
Le condizioni odierne però sono leggermente diverse dalla volta precedente: si
percepisce il residuo del forte vento di grecale che ha lasciato un’onda lunga da
vomito, ma l’aria è ferma e fredda.
Da lontano la meda della secca dei Monaci a volte scompare nel vuoto d’onda.
Con neppure una barca all’orizzonte assaporo il gusto della solitudine.
Una colonia del piccolo gabbiano corso si è posata sull’acqua, ogni tanto un
uccello immerge la testa e le ali, poi si scrolla l’acqua dalle piume con un gesto
gioioso.
Negli istanti che precedono l’immersione, l’osservazione pacata di questi
particolari contribuisce, inconsciamente, al raggiungimento della
concentrazione che richiedo sempre alla mia azione di caccia.
Alle prime immersioni, i soliti branchi misti di saraghi si materializzano
d’improvviso al limite della visibilità, qualcuno forse a tiro, ma il caso vuole che
mi trovi sempre col fucile puntato da un’altra parte e al minimo movimento del
fucile questi pesci scodano via.
Su questa secca compio ogni volta un tragitto standard con agguati ed aspetti
in punti topici, ma nell’attuale stagione rinuncio a pescare in movimento per
puntare tutto sull’aspetto.
Memore dell’esperienza della volta precedente, imposto subito le attese alla
base dei pinnacoli e con mia sorpresa, nuotando qualche metro sopra il fondo,
vedo avvicinarsi alla spicciolata un gruppo di denticiotti grassi e curiosi.
Aspetto qualche passaggio, sperando in quelli più grandi, poi ne infilzo uno.
Non rifletto più di tanto su questa presenza anomala di una stagione sempre
più sballata!
Arrivo al punto dove da anni incontro le ricciole, invece arrivano di nuovo i
dentici, questa volta di tre, quattro chili.
L’aspetto al dentice va condotto in un punto basso del terreno per rendere
complicata l’individuazione delle vibrazioni e della sagoma del nostro corpo.
La ricciola, gran corridore, invece richiede l’aspetto in un punto rialzato del
fondo per allargare l’area di informazione sulla nostra presenza.
Posizionato troppo in alto per il dentice, posso soltanto notare questa presenza
insolita, nella stagione corrente.
Ho puntato sulle ricciole in una zona topica per il loro passaggio ed è arrivato
un altro branco di dentici!
Si tratta ora di analizzare il fenomeno che mette in crisi tutte le mie
osservazioni di anni sul comportamento di questa specie ritenuta, non solo da
me, una migratrice stagionale.
Intorno alla secca dei Monaci erano contemporaneamente presenti tre branchi
di diversa taglia proprio come nel periodo estivo, alle loro stesse quote di
caccia.
Devo ancora aggiungere di aver preso in prestito dal mare una granseola di
circa un chilo che ora, mentre scrivo, mi sta smontando le pietre dell’acquario:
troppo piccola per essere mangiata se non si adatterà in cattività la libererò nel
futuro.
Questi crostacei solitamente si avvicinano per la riproduzione all’inizio della
primavera e rappresentano un’anomalia, nella stagione corrente, esattamente
come la vicinanza dei dentici!
Dirò ora una fesseria che non c’entra niente con il mare: i mandarini e gli
aranci del mio frutteto, adesso, sono in fiore : alcuni hanno ancora i frutti che,
indaffarato come sono in questo periodo, non ho avuto il tempo di raccogliere.
Un inverno troppo mite ha spiazzato anche le piante!
Non ho portato il computer per l’apnea e non ho misurato la temperatura
dell’acqua, ma è innegabile che non fa freddo come gli altri anni.
La temperatura delle correnti e il fotoperiodo determinano gli spostamenti dei
branchi migratori e sicuramente è cambiata una di queste variabili, con il
risultato di avere delle specie ittiche in anticipo sul calendario della loro
presenza.
Mi sposto su alcuni cappelli esterni alla secca delle Bisce, tra i Monaci e Porto
Cervo, al limite dei 24 metri di profondità ed ecco di nuovo i dentici!
Un branco veramente numeroso.
Dopo una loro prima passata mi infilo tra due pietre, dove ho già segnato una
ventina di tacche corrispondenti ad altrettante catture e l’avvenimento si
ripete. L’asta da 6.5 non perdona: entra nelle carni con un effetto devastante,
lasciando al pesce solo una modesta reazione.
Risalgo in superficie filando la
sagola del mulinello, mentre parlo
da solo delle bollicine mi escono
da sotto la maschera : “vedi… i
dentici sono arrivati in anticipo!“
Quattro chili e mezzo di pesce dal
mantello rosato, non di quel blu
metallico, caratteristico degli
esemplari estivi.
Rileggo il diario due giorni dopo e
devo annotare ancora gli stessi
avvistamenti e le stesse osservazioni,
con la cattura, il giorno successivo di
altro dentice di 4.5 chili in una zona
distante solo qualche miglio da quella
del racconto.