n.19 - Diario di pesca

Era mia intenzione utilizzare il tempo dei trasferimenti in barca a vela, tra una
zona di pesca e l’altra, per scrivere le mie impressioni sull’andamento della
“settimana blu”: una specie di diario di bordo sulla vita in barca a vela e
l’esperienza collettiva vissuta dal gruppo di allievi di questo primo corso, ma
anche nei momenti di pausa delle lezioni non ho mai avuto l’impulso di
scrivere, travolto com’ero dalla fatica e dalla tensione di dover operare scelte
tempestive, sia durante lo svolgimento didattico, che nel seguire i cambiamenti
delle condizioni meteomarine.
Lo sviluppo della didattica del corso e la scelta delle zone di pesca dove
realizzare le lezioni, mi hanno assorbito interamente, così, sono giunto alla
conclusione che il momento riflessivo dello scrivere mal si concilia con il tempo
“dell’azione”: due situazioni che generano stati d’animo ed una disposizione
interiore, antitetici e incompatibili!
Scrivo, allora a corso appena terminato, questo diario di pesca che si potrebbe
intitolare:
“Importanza della temperatura dell’acqua del mare sulla presenza dei pesci”.
Ho già affrontato questo tema in altri diari e vari articoli, ma in questo caso, la
verifica dell’influenza: fattore “temperatura,” è stato constatato da tutti i
componenti del gruppo della “settimana blu”, in punti diversi della costa corsa
e su varie batimetrie.
Dopo le prime lezioni teorico/pratiche in Sardegna, martedì partiamo per la
crociera in Corsica. Un forte maestrale ci obbliga a ripiegare nel golfo di
sant’Amanza al limite del parco naturale di Lavezzi, dove l’allievo, con me
appostato sulle sue pinne, a controllare lo sviluppo delle fasi dell’agguato
(avvistamento – avvicinamento – cattura), doveva dimostrare di saper
applicare correttamente la strategia.
La lezione si svolge tra brevi commenti in superficie sulle strategie più
opportune da adottare caso per caso. Il pesce è scarso, ma tranquillo.
La sera le condizioni del tempo migliorano e navighiamo, di notte, verso una
rada di fianco al porto di Bonifacio, tra bianche rocce calcaree ed una
vegetazione bassa, strinata dal vento, dove il sonno assale tutti all’improvviso,
cullati dal beccheggio del “Bavaria 47”.
La mattina successiva, all’alba, un altro breve trasferimento e caliamo l’ancora
a capo di Feno, in una zona che conosco molto bene ed ha riservato sempre
buone catture.
Con i primi due allievi, infatti, avvistiamo subito un buon numero di saraghi in
parete e nel basso fondo.
Il secondo, in particolare, riesce a realizzare con disinvoltura cinque “centri”
interessanti intervallati ad una decina di “padelle”.
Poi, improvvisamente, con gli altri, ci troviamo di fronte ad un deserto di vita
sottomarina e solo a sporadici avvistamenti.
La temperatura dell’acqua sotto costa non è particolarmente fredda, ma
superata la soglia dei primi due o tre metri di profondità, si avverte subito il
cambiamento termico: sembra di entrare in una vera e propria ghiacciaia!
Al termine della lezione, con l’armatore e il più dotato del corso, andiamo, poi,
a visitare dei mitici lastroni calcarei, dove due anni prima avevo realizzato
alcune riprese del video “L’agguato profondo”, ma con una certa delusione
catturiamo solo una corvina di poco inferiore al chilo e qualche sarago.
Passata un’ora, tutti infreddoliti,
ci ritroviamo sul gommone
appoggio ed eseguita una rapida
consultazione, decidiamo di
tornare in barca a vela per
un’ulteriore analisi della
situazione dopo il ritorno di Piero
“acchiappadentici”(il mio
aiutante in questa settimana), capace di pescare oltre i trenta metri.
Lo osserviamo dalla barca a vela, mentre insiste al largo in immersioni
profonde, ma poco dopo, anche lui risale a bordo in versione “ghiacciolo”, per
confermare quella che sarà l’impressione di tutti sulle condizioni ambientali:
corrente da ponente, acqua fredda con molta sospensione, situazione
meteomarina decisamente invernale.
Valutati anche gli avvistamenti sotto costa da parte degli altri allievi, decido
quindi un cambiamento sostanziale della zona scegliendo il golfo di Roccapina,
risalendo la costa corsa dieci miglia più ad ovest. Qualche ora di navigazione
per giungere in un tratto di litorale che considero tra i più pescosi e
promettenti del sud della Corsica.
Lo scenario affascina subito tutti i partecipanti al corso che, agguerritissimi, si
sparpagliano lungo un litorale costellato da scogli di granito tondeggiante,
sempre accompagnati dal gommone appoggio.
Mi sento decisamente stanco e non li seguo: resto in barca ad ammirare la
bianchissima “plage d’Erbaju” tra punta Roccapina e punta Murtoli, sulla quale
si staglia un gruppetto di mucche dal manto scuro, uniche forme viventi lungo
il litorale, in un mese disertato dai bagnanti.
In mare, tutta la costa è sbarrata da una doppia fila di reti, poco distanti l’una
dall’altra e mentalmente immagino che effetto può aver provocato questa
barriera sulle migrazioni quotidiane delle specie ittiche, dagli alti fondali al
caldo basso fondo: se il pesce si fosse trovato già nel basso fondo vi sarebbe
rimasto bloccato e avrebbe atteso la notte per spostarsi, ma nel caso i tramagli
si fossero avvicendati troppo rapidamente nella cala, nessun pesce avrebbe
potuto raggiungere quel punto della costa lasciandolo irrimediabilmente
deserto.
Passano così tre ore, prima del rientro, alla spicciolata di tutti i componenti
l’equipaggio, tranne uno che per la sua bramosia venatoria crea un po’ di
apprensione tra tutti i suoi compagni: aveva perso la cognizione del tempo
nell’inseguire un branco di cefali nel bagnasciuga, un altro allievo ne porterà, a
bordo, uno di più di due chili!
Dai racconti degli allievi, ricompongo la situazione del pesce in quel tratto di
costa: effettivamente i tramagli devono aver avuto un’influenza negativa,
perché gli avvistamenti di sparidi nel basso fondale si è rivelata modesta, quasi
carente.
Qualche branco di cefali nelle pozze poco profonde, ma complessivamente
pochi avvistamenti.
La temperatura dell’acqua, per quei pochi che hanno provato un’immersione
otre i dieci metri, ha loro gelato il sangue come in quella di capo di Feno.
Dopo una rapida consultazione con
Simone (l’armatore /skipper della
prima settimana blu) decido un altro
cambiamento di programma, la mia
teoria è che, per aver successo nella
pesca subacquea, bisogna saper
accettare la regola fondamentale di
ogni cacciatore: il nomadismo.
Si torna in Sardegna dove la
temperatura dell’acqua, nei giorni precedenti si era dimostrata più calda!
Partiamo nel tardo pomeriggio per arrivare a Baja Santa Reparata a
mezzanotte, tutto molto affascinante dal punto di vista velico, ma “un par di
cojoni!”
Senza entusiasmo comunico che, all’alba, la mattina successiva avremmo
pescato a Capo Testa. Nessuno mi contraddice, ma si capisce che l’equipaggio
è stanco di tutti questi pellegrinaggi e la mattina successiva tutti si alzano con
comodo.
Ci attende il mitico Capo nel suo massimo splendore, in una giornata quasi
estiva.
Primo controllo: la temperatura dell’acqua è 19 °C!
Formo due coppie per l’agguato nel sotto costa e assegno ad ogni componente
il compito di stare rigidamente vicino al compagno per controllarne l’azione e
correggere gli eventuali errori di impostazione, esattamente come avevo fatto
con loro, i giorni precedenti.
Mi ero accorto, infatti, che per l’emozione di avermi alle costole, un po’ tutti
avevano commesso degli errori banali e soprattutto affrettato eccessivamente
l’azione di caccia.
Al termine della battuta, avrebbero tenuto una relazione sulla tecnica di
immersione e di pesca del proprio compagno.
In quattro, invece, ci dirigiamo verso la secca del diavolo: Ageo il più dotato
del corso (che paradossalmente alla fine del corso catturerà meno pesce di
tutti gli altri componenti del gruppo !), l’armatore e Piero “acchiappadentici”.
La secca si presenta solo con una leggera corrente da ponente, la stessa che
ha condizionato la pesca in Corsica.
Questo fatto mi crea una certa apprensione, ma l’acqua è calda e trasparente
ed offre uno scenario subacqueo indimenticabile.
Con il mio allievo mi dirigo contro corrente mentre gli altri due tengono la
posizione sotto corrente.
Lascio il primo “tuffo” ad Ageo che tornato in superficie, con la sua solita
flemma, mi racconta di aver avvistato prima un dentice di 6/7 chili, poi un
cernione.
Butta bene!
Guadagno qualche metro controcorrente quando a mezz’acqua si stagliano due
dentici contro il biancore delle incrostazioni del fondo.
Inizio a ventilare, quando Ageo mi affianca e con uno sguardo di approvazione
mi conferma di aver notato anche lui i due predoni.
Sotto i suoi occhi tento una caduta sul più grosso, ma l’operazione non riesce
per la corrente che mi obbliga a correggere la traiettoria della caduta, con una
leggera battuta delle pinne.
Quando sono ancora fuori dalla gittata del mio fucile, i due sparidi si
allontanano con decisione, mi affascina il loro occhio che, di coda, un po’ da un
lato un po’ dall’altro, ruotando nell’orbita, continua a controllare la mia
posizione.
Anche nell’immersione successiva del mio compagno di pesca, qualche
individuo del branco si mostra da lontano, sempre piuttosto in alto rispetto al
fondo.
La cattura, ora, è solo un problema di trovare le circostanze favorevoli!
Questa si presenta ancora una volta con un dentice a mezz’acqua: mi trovo in
superficie proprio lungo il suo tragitto!
Calcolando il punto di “collisione” scelgo l’istante giusto per immergermi.
Le prime pinneggiate potenti, per acquistare velocità, poi, la caduta a foglia
morta con una leggera correzione della traiettoria inarcando la schiena, quando
il dentice con una lenta virata, cerca di evitarmi.
Ma per lui è troppo tardi…
L’asta lo trapassa dall’alto verso il basso e trattenendo subito la sagola evito
che si infili dentro lo spacco sottostante.
Mentre risalgo con la cima sottile avvolta nella mano, distinguo la sagoma di
Ageo, in controluce, che mi osserva con attenzione.
Appena emerso si congratula
con me ed anche io con me
stesso perché era più di quindici
anni che non riuscivo a
realizzare una cattura di un
dentice di buona taglia ( quattro
chili) con la tecnica della
caduta.
Nonostante le condizioni
favorevoli, i miei consigli e
l’abbondanza di pesce, non
riesco a far realizzare una buona cattura al mio migliore allievo, che
giustamente snobba saraghi e corvine.
Catturo ancora una cernia di quattro chili e mezzo, poi trovando il branco di
dentici sempre più sospettoso, decido di interrompere la battuta su questa
secca.
“Acchiappadentici” porta a paiolo un “denticiotto” che non gli fa onore, ma
racconta di aver avvistato un branco di veri “mostri,” costantemente fuori tiro.
L’intera secca del Diavolo, vasta quasi un ettaro, quindi, era circondata da un
unico grande branco che girava a mezz’acqua intorno ai bordi più vicini alla
superficie per produrre qualche puntata, ogni tanto, verso la minutaglia
radunata accanto ai sommi più alti.
Per la mia cultura venatoria era inevitabile collegare l’acqua calda e
trasparente a questa situazione favorevole.
Decido di chiudere la battuta di pesca andando a controllare un'altra serie di
secche denominate “Gli Ombrelli”, a meno di un miglio di distanza dalla secca
del Diavolo.
Con una certa sorpresa, su questa secca trovo l’acqua fredda e torbida!
Anche nella nuova zona, ci sparpagliamo cambiando però la formazione delle
coppie: con me porto “Acchiappadentici”.
Giriamo per più di un’ora per concludere con un sarago vicino al chilo ed una
corvina poco più grande, ma complessivamente gli avvistamenti sono stati per
entrambi molto scarsi.
Gli altri due compagni, addirittura, non portano neppure un pesce e
confermano la mia valutazione sulle condizioni della zona.
Resta solo il controllo delle coppie sparpagliate sotto costa.
Ed ecco una nuova conferma: tutti gli allievi che si sono immersi sopra
corrente rispetto alla secca del Diavolo, portano buoni carnieri e confermano di
aver trovato l’acqua calda. L’altra coppia che si era immersa a cala Spinosa,
dietro capo Testa, invece, ha realizzato scarsi incontri.
La mattina successiva chiuderò la “settimana blu” a cala Spada, baia di capo
Figari a ridosso di Golfo Aranci, sotto un maestrale con punte a 30 nodi, ma
nell’acqua calda!
Complessivamente, verrà catturato poco pesce, ma gli avvistamenti di grosse
spigole e grandi orate confermerà una volta di più che, nella tarda primavera,
bisogna cercare il pesce con il termometro!