Diario di pesca N°22
Diario del GattoLibero: Episode II "In cerca della forza"
10/03/2002
n.d.r. Allievi, Cavalieri e Maestro (presunto per alcuni) sono sì personaggi reali,
ma vengono epicizzati nella prosa per enfatizzare allegoricamente, e attraverso
la narrativa, i temi dell'apprendimento, della pesca e della amicizia. I fatti sono
veri (e le catture pure !), i riferimenti casuali, il divertimento garantito.
Dimenticavo ... non prendetela troppo sul serio.
Erano passate 280 rotazioni terrestri dall'ultimo "Raduno degli Eletti" in Terra
Santa. Nemmeno una rivoluzione completa attorno al sole affinché le stesse
stelle apparissero nuovamente nel cielo a segnare la stagione di caccia.
Col solito brivido freddo, la forza era scorsa in una notte preannunciando
l'arrivo di un ologramma del Maestro Yoda.
E così fu.
In una piovosa notte di gennaio egli giunse ai suoi Allievi e Cavalieri Jedi
attraverso un pensiero prima ... un ologramma poi.
E disse: "Cavalieri. Allievi prediletti miei. Il tempo giunge affinché vi mettiate in
cammino in cerca della forza. E' l'ora del ritrovo. Che presto sia il giorno per
unirvi a me. Nel prossimo incontro avrete modo di approfondire, come
nessuno prima, il supremo concetto dell'ARMA, espressione terminale della
Forza. La terra Corsa vi attende ed io veglierò in mare sul vostro operato e di
notte sulle vostre anime. Che la forza cresca in voi. Che la forza sia con noi."
... la sua immagine si dissolse sublimando virtualmente ad una velocità non
aggressiva.
La retina impresse ancora per alcuni secondi l'immagine olografica, mentre il
riecheggiare delle sue parole ci aveva ipnotizzato. Sebbene ai 4 angoli del
Mediterraneo, ci sentimmo attratti dal videotelefono ed a notte fonda ci
comunicammo il volere del Maestro.
GattoLibero Jedi #1; OroOlimpico Allievo Jedi #2; Antu Cossu Allievo Jedi #3;
FiloSalato Jedi #4 si diedero appuntamento in Terra Santa dove, raggiunto il
Maestro, avrebbero mosso alla volta della Corsica, terra di caccia e campo di
prova per i Cavalieri Jedi. L'Allievo Oro Olimpico, così come l'Allievo Antu
Cossu, avrebbero ricevuto l'investitura qualora, passate le dure prove invernali,
avessero dimostrato di possedere il controllo della forza.
Lo spazio-porto di Civitavecchia, il luogo di ritrovo dei 3 Jedi peninsulari pronti
per essere traghettati in Terra Santa ... il Jedi Cossu già lì.
... Un'altra fuga dai mutanti.
Un altro episodio di una saga che avrebbe cambiato i loro destini.
L'ora era vicina.
Il richiamo della forza aumentava e con esso quello del Maestro ...
Le notti che precedettero la partenza furono caratterizzate da un’attività onirica
straordinaria per tutti.
Sognai le coste Corse viste nemmeno un anno fa. I continui tiri ai saraghi che
si avvicendavano ad ogni anfratto scoperto, dietro ogni scoglio emerso, dietro
ogni angolo. La frenesia del ricaricare l’arma ed il susseguirsi dei tiri. Lo stare
attaccato alla parete bilanciandosi con la mano sinistra e sfruttando la risacca.
Il continuo scrutare dell’occhio accompagnato da un incessante ruotare della
testa che, come un radar, doveva percepire il benché minimo movimento, la
più flebile specchiata, il più perfetto mimetismo. E studiare il percorso
subacqueo, e scegliere il momento del tiro. L’avanzare a piccoli tratti.
Ogni notte lo stesso sogno. Lo stesso ripassare incessantemente le regole
dell’agguato.
L’allievo Oro Olimpico mi confessò di pasticche sub-linguali assunte per
combattere lo strano effetto onirico, di cui era anch’egli vittima, e l’ansia della
prova per l’investitura: le prove del Cavalierato.
L’allievo Jedi Cossu, invece, combatteva l’attesa con lunghe notti di veglia,
talvolta concluse con sporadiche uscite mattiniere a pesca, in cui si limitava a
portare a tiro i pesci e controllare la forza per non sparare. Praticava la nobile
arte del “cappottone” volontario.
Ma chi soffriva l’attesa più di tutti era il neo Cavaliere Jedi Filosalato. Era stato
nemmeno da un anno investito, ma portava ormai da mesi i segni del troppo
vivere a contatto dei mutanti.
Mi scrisse descrivendomi il seguente sogno. Che cercai invano di interpretare:
“Ero assorto nei miei pensieri quando sentii il lato oscuro della forza.
Nonostante l'impegno per non pensare, per cancellare il male, ogni tanto esso
ricompariva.
Cercai quiete sulle montagne del Gennargentu e, allontanandomi, vidi fra la
bruma dell'alba il cavaliere AntoCossu.
“Nobile Jedi”, dissi, “Conosci anche tu il lato oscuro della forza?”
“Si” egli rispose “Ma devi superarlo con l'insegnamento del Maestro”.
... Il Maestro ...
... appena nominato egli apparve, proiezione olografica del suo essere, pieno di
luce propria ... “Applica anche tu il nomadismo” ... furono le sue parole ...
“colonizza una azienda per un periodo, utilizza le sue risorse e poi spostati ...
fai anche tu quello che faccio io con i territori di caccia ... muoviti sempre ...
assicurati il ricambio ... e vivrai dominando la forza ... e allontanandone il lato
oscuro.”...”
Erano sogni tutti premonitori. E nessuno di noi si oppose al loro fluire.
Decidemmo la data di partenza consultando le tavole del tempo al suolo e
seguendo l’alternarsi delle perturbazioni Atlantiche, foriere di venti impetuosi
sulle coste occidentali del territorio di caccia.
Il Maestro ci rassicurò sulla logistica, pianificando un’organizzazione “flessibile”
(aggettivo a lui caro) e capace di rapidi spostamenti, anche se col gommone al
seguito. Il gommone. Quello che lo aveva accompagnato nei “cult” video della
pesca. Quello che aveva messo in trazione il tonno. Il vecchio verde gommone,
fedele compagno d’avventura.
PRIMA ROTAZIONE
E il giorno della partenza giunse.
Filosalato fu il primo a partire lasciando le coste della frontiera acquea della
Puglia, ormai terra di confine tra la nazione Europea e l’instabile federalismo
orientale dei paesi al di là dell’Adriatico, costantemente esportatori di
emigrazione umana e talvolta criminale.
Nel suo viaggio verso occidente attraversò gli Appennini e i suoi pensieri,
assieme al lato oscuro della forza, si dissolsero sgombrando la sua mente. I
suoi occhi si riempirono d’azzurro quando, aggirato il cono del Vesuvio,
scoperse il mare blu di Vulcanolandia, un tempo Partenope. Un sorriso
comparve sul suo volto quando il trillo del cellulare gli anticipò la voce amica
dell’Oro Olimpico.
Uno stop over e anche l’Allievo Olimpico poté caricare la sua attrezzatura a
bordo del Wagoner di Filosalato. La parte più difficile fu collocare l’immensa
ghiacciaia da 250 litri, che il Ns. lottatore aveva tutta l’intenzione di riempire.
Ma il Maestro ne avrebbe permesso lo “sfruttamento” ?
Dopo poco, pilotando il Wagoner attraverso l’uscita 26 del GRA della Capitale,
ancora sotto il giogo del Cavaliere Nero, Filosalato agganciò il GPS, ed il
navigatore li portò diritti verso la mia dimora.
Il cambio di navetta fu eseguito in un batter d’occhio. Ora il mio monovolume
avrebbe trasportato tutto e tutti, compresa l’immensa ghiacciaia e le armi Jedi.
Le armi Jedi. Cosa intendeva il Maestro con : “… avrete modo di approfondire,
come nessuno prima, il supremo concetto dell'ARMA, espressione terminale
della Forza” ??
Tutti, ad eccezione di Filosalato, eravamo dotati dei magici legni del Prof.
D’Agnano, druido ed artigiano originario di Ventotene. Anche Cossu aveva un
fusto magico e pregiato.
Quale era il significato del concetto di ARMA ?
Tutti sapevamo che il Maestro continuava i suoi studi per rendere l’Arbalete
un’appendice del corpo, con l’intento di arrivare a pilotarne il tiro col pensiero.
Ma cosa intendeva per “espressione terminale della forza” ??
Fu questo il quesito che tentammo di sciogliere durante il viaggio attraverso la
Capitale, alla volta dell’officina del Professore D’Agnano. Dopo una gustosa
cena consumata nella mia dimora e minuziosamente preparata, nei sapori e
nelle calorie, dalla mia “miciona”, eravamo già in ritardo per il randevouz
all’officina del druido.
Obiettivo era prelevare un’arma confezionata appositamente per l’Oro, un
arbalete speciale, un prototipo studiato apposta per l’Allievo Jedi Maddaloni,
tanto avvezzo all’uso di testa con elastici imboccolati ma basculanti.
Il Professore D’Agnano ci accolse all’aperto, nello sterrato davanti alla sua
officina, disseminato di ogni cosa e di legno soprattutto.
Incappucciato ed avvolto da un bianco saio di cotone che lasciava intravedere
solo i suoi sandali, e parzialmente la terminazione delle sue lunghe ed incolte
basette, ci venne incontro lentamente cullando l’arma Jedi.
Nel buio di una notte senza luna, dal nero ovale del cappuccio, sembrò che le
sue basette parlassero: “Che la forza sia con voi ! Sono 7 notti che sogno il Vs.
avvento. Il lavoro è pronto e vi affido uno dei miei “figli”.
Tese le braccia e l’arma lievitò lentamente, come nelle sue vasche di prova
d’assetto. Un intenso profumo di resina pervase l’aria ed un brivido accapponò
la pelle dell’Oro Olimpico quando i suoi polpastrelli frenarono la caduta
dell’arma nella sua mani.
“Ma fai attenzione … o Jedi” il Professore si affrettò a sussurrare: “ che il fusto
torni a me per raccontarmi della pesca, affinché io possa terminarlo valutando
la forza che farai scorrere in lui. L’arma è come un oggetto su misura, ho
bisogno di conoscere le dimensioni del tuo modo di pescare, così come chi ti
confeziona una muta ha bisogno delle tue misure. Che l’arma torni a me”.
L’Oro Olimpico annuì col capo e non capii che il prolungato inchino fu esagerato
in segno di ringraziamento e rispetto. Filosalato avrebbe voluto chiedere.
Sapere. Confrontarsi. Decidere se continuare la sua produzione di aereo-fucili o
tentare la via del legno, ma fui io ad interrompere il rumore del silenzio. E dissi
“Grazie Prufessò, ma mò ce n’ amma i’, ‘o si nò facimm’ tard’ “.
Il Professore sorrise e lo capimmo dai bianchi denti che apparsero nell’oscuro
oblò del cappuccio, collocandosi esattamente a metà delle lunghe basette.
In pratica ridevano le sue basette!
Gli avevo parlato nel caro dialetto dell’Isola di Ventotene, un tempo
appartenente al regno di Vulcanolandia, evocandogli i momenti felici della sua
vita di druido e fortissimo pescatore. Gli anni della sua selvaggia giovinezza.
A grande velocità imboccammo l’Aurelia e giù verso il mare allo spazio-porto di
Civitavecchia. Durante i veloci Km percorsi fummo tutti pervasi dall’ansia di
imbarcarci sul cargo che ci avrebbe portato in Terra Santa. La salivazione si
azzerò e con essa la Ns. conversazione.
Solo l’Oro Olimpico continuava, come un ebete, a ripetere “Buona
seeraaaaaaa”. Perché ?! Lo avremmo capito 2 rotazioni terrestri dopo.
“Biglietto prego”.
Ma l’accento era il mio.
“Salite a destra. Spegnete i fari. Andate piano !”
Era di nuovo la stessa cadenza. Un altro del regno di Vulcanolandia.
“Accussì, piano. Girate e a marcia indietro in fondo lì”.
Erano tre su tre.
“Venite, addirizzate le ruote. Va bbuò. Marcia avanti e freno a mano”.
Anche il quarto.
Fu facile capire che il Cargo era completamente governato da un equipaggio
Partenopeo. Sulla dura rotta invernale Civitavecchia – Olbia di Terra Santa solo
i duri ed antichi partenopei si erano accollati l’onere di assicurare il “salto”
attraverso il mediterraneo e con navicelle cargo lente e mastodontiche.
Sebbene mutanti, mi sentivo a casa. Nonostante fossero 8 rivoluzioni che ero
emigrato nella Capitale, non avevo mai perso il contatto con la mia terra
natale. E quei mutanti, così vicini al mare, restavano gli unici a conservare le
tracce di un popolo che aveva espresso grandi cacciatori, atleti e navigatori.
Sorrisi all’idea di una pizza, come ero solito mangiare all’ombra del Vesuvio.
La notte salì alta e profonda e, quando il cargo mosse, apparentemente già
dormivamo nelle Ns. cuccette. Un ultimo veloce sonno durante il salto sul
Tirreno. Un ultimo momento di oblio prima del contatto con la Terra Santa,
dell’incontro fisico col Maestro e dell’unione con l’Allievo Jedi Cossu.
Nessuno realmente dormì e passammo in stato di semi incoscienza le ore lente
della notte. Le ore più lunghe della Ns vita. Il fruscio del rigirarci nei giacigli e il
casuale “sbuffare” di qualcuno (!) furono gli unici rumori nell’angusto spazio.
Un test che avremmo dovuto affrontare per più di una notte durante la
missione.
SECONDA ROTAZIONE
La decelerazione del cargo e l’aumentare delle vibrazioni, che persero di
frequenza aumentando di elongazione, furono la sveglia per i Ns. corpi
intorpiditi.
L’Oro Olimpico si svegliò dicendo, ancora una volta : ““Buona seeraaaaaaa”. Poi
ritornò lucido.
Fummo tra i primi a sbarcare.
Fermai la monovolume e tutti scendemmo. Ci inginocchiammo e, sotto gli occhi
increduli dei passeggeri (mutanti), baciammo il suolo della Terra Santa.
Mentre le nostre nari percepivano il sopito e già redivivo aroma del mirto e
della umida macchia mediterranea, ci sembrò di udire l’inconfondibile idioma
del Ns. Allievo Cossu.
Lui non c’era, ma realizzammo che eravamo inconfutabilmente giunti.
Eravamo in Terra Santa in una splendida giornata di sole e calma di vento.
Non finimmo di assumere la posizione eretta che una voce giunse dal di
dentro: “Buon giorno Jedi. Vi aspetto!”. Capimmo che la forza della
trasmissione telepatica era tale data la vicinanza del Maestro, così come
realizzammo che era inopportuno attardarsi.
Guidai veloce e, di nascosto, schermando le trasmissioni extrasensoriali con un
“pezzotto” (n.d.r. sofisticato device elettronico) di origine Torrese,
consumammo una fugace colazione, pasto che ci fu negato per TUTTI i giorni
successivi, in accordo alle rigide regole del Cavalierato.
La salita del santuario del Maestro è particolarmente impervia, soprattutto
d’inverno quando le precipitazione ne accentuano i profondi solchi.
Imboccammo il viale e scorgemmo il gommone già sul carrello ed il wagoner
pronto, immancabilmente con lo sportello aperto. L’attrezzatura ben disposta
ed organizzata in bella posta ai margini del giardino. Il laboratorio aperto e
buio. Ma dov’era il Maestro ?
Sbattemmo gli sportelli per annunciare il Ns arrivo. Poi religiosamente salimmo
le scale. E lui apparve sorridente.
“Benvenuti. Che la forza resti con voi !” E ci abbracciò a turno con il solito
vigore di sempre. L’unico a stringere più forte, ricambiando la stretta, fu
ovviamente l’Oro Olimpico. Il Maestro parve assorbire, poi tememmo il peggio,
ma lui disse: “Allievo Jedi Maddaloni perché mi dici (telepaticamente)“Buona
seeraaaaaaa”. ??”.
Tossii e tentai di cambiare discorso.
La temperatura all’interno dell’alloggio era qualche grado al di sotto di quella
esterna. Il Maestro non aveva mai istallato alcun tipo di riscaldamento,
preferendo solo ardere i ciocchi nel grande camino, in ricordo delle sue origini
selvagge di cacciatore raccoglitore.
Tutti rabbrividimmo immaginando la temperatura notturna.
Il Maestro stava lavorando al computer componendo alcuni scritti sull’impatto
ambientale, ma presto abbandonò l’azione per dedicarsi a noi. Prese tre nastri
digitali e ci fece omaggio, con dedica, della seconda parte della sua ultima
opera videografica sull’aspetto dinamico al Dentex Dentex. Poi afferrò la sua
cam-corder, inserì un nastro e disse: “Ora osserviamo. Inizia qui la Vs.
lezione”.
In religioso silenzio, interrotto solo dai commenti del Maestro e dalle sue
domande, rivedemmo il video per ben due volte. Alla seconda ci fu concesso di
porre alcuni quesiti e risentire alcuni passaggi salienti quali:
1.“Che devo fare ?” domanda retorica nell’attimo di decisione di fronte ad una
preda.
2.Il rumore del mulinello che si srotola, dopo il colpo, e la frizione della mano
sulla sagola.
3.“La lascerò andare”, diretto ad una ignara oratosaura, frase risultata l’unica
bugia nel testo del video.
Proprio il punto 2 suscitò un non so chè nella mente di Filosalato che, avvezzo
alla riproduzione acustica di elementi e strumenti musicali elettronici, ne
campionò il suono, riproducendolo a sua volta attraverso il rapido movimento
della lingua ! Purtroppo ne risultò una tortura per tutta la missione.
Filosalato era quasi un perfetto imitatore, nonché un profondo conoscitore dei
video “cult” del Maestro. Ne imitava con infinita perizia e riverenza i passaggi,
doppiando la voce e riproducendone la gestualità. Il rumore del mulinello, e le
frasi dei punti 1 e 2, vennero subito memorizzate e passarono a far parte del
suo data base.
Il Maestro sembrava sopportare in silenzio le imitazioni. E nessuno seppe
giudicare se lui gradiva o disdegnava, a causa del suo controllo e del suo
silenzio.
Ma a Filosalato piaceva.
Poi fu la volta di scendere nel laboratorio. Era l’ora di affrontare il tema che ci
aveva fatto giungere fin lì e che avrebbe caratterizzato la missione. Il Maestro
entrò e accese la fotoelettrica. Un bancone invaso di attrezzi e strumenti d’ogni
tipo fu illuminato all’istante ed i Ns. occhi faticarono a focalizzare un singolo
elemento. Cercavamo di scannerizzare tutto ciò che era in vista, ma presto
fummo attratti dall’ARMA.
Due fusti in legno erano appoggiati ad uno scaffale: affusolati e dotati di
circolare, per un occhio profano non si scostavano dalla produzione del
Professore D’Agnano, ma come tutti notammo, la mano del Maestro aveva
profondamente plasmato il povero ed antico materiale. Un manico ergonomico
ne caratterizzava la fattura e un insolito meccanismo di sgancio la meccanica.
Ci fu spiegato in dettaglio il perché di alcuni accorgimenti ed assistemmo agli
ultimi ritocchi prima che entrambe le ARMI fossero riposte accuratamente nel
Wagoner.
Chiudendo il laboratorio il Maestro disse: “A turno pescherete con quest’ARMA.
A turno giudicherete.”. E si avviò in cucina.
Dopo un frugale pasto a base di proteine ci incamminammo verso il porto di
Santa Teresa, dove un ennesimo breve salto ci avrebbe portato, attraversando
le bocche di Bonifacio, in Corsica. Il Maestro dava il passo e trasportava il
gommone in compagnia di Filosalato. Non conosciamo gli indottrinamenti a cui
fu sottoposto il Cavaliere Jedi, ma parve scendere frastornato all’arrivo in
porto.
L’Oro Olimpico mi faceva da navigatore e non nego che, durante l’intero
percorso, ne controllai attentamente lo sguardo e la pupilla. Tesi l’orecchi al
fine di scoprire se avesse riformulato la solita isterica e “sunnambolica” frase.
Una sola auto era al dock di S. Teresa al fianco del cargo Ichnusa: una vissuta
Opel il cui disuniforme effetto metallizzato della carrozzeria era dovuto alle
numerose squame di orata appiccicate. Era l’inconfondibile velivolo dell’Allievo
Jedi Cossu.
Il caldo tepore di quel pomeriggio e l’assenza di vento rendevano quasi
primaverile l’aria. S. Teresa era come le Colonne d’Ercole: appena 10 miglia
dalla costa Corsa, attraverso uno stretto spesso agitato dai forti venti di
Maestrale. Al di là, la morfologia della costa cambiava drasticamente: il granito
lasciava posto all’alta e calcarea costa. E Bonifacio, arroccata a vedetta
dell’ingresso, parlava di tempi antichi.
Riflettevo sull’ultima volta che avevo traversato lo stretto e
contemporaneamente scrutavo il molo in cerca dell’Allievo Jedi Cossu. Mi
avvicinai al velivolo e scrutai all’interno: accostando le mani a coppo al vetro e
coprendo il volto dal riflesso del sole, notai il fucile di legno adagiato accanto
ad un seggiolino per una “bambino”, forse una “bambina” e sorridendo
immaginai il Cossu intento ad assicurare sul sedile una delle sue oratosaure
catturate sulla costa occidentale della Terra Santa. Una ghiacciaia arancione
occupava lo spazio restante sul sedile posteriore.
Alzai la faccia dal vetro e staccai le mani. In quel momento vidi riflesso nel
vetro, dietro di me, il volto barbuto e amico di un sardo. Un fratello. Antu.
“Amico. Fratello”, gli dissi, “Che la forza sia con te”. “Che la forza sia con noi”,
mi rispose lanciandomi le braccia al collo.
Il gruppo era completo. Eravamo tutti lì
pronti a saltare dall’altra parte dello
stretto. Il Maestro si unì al gruppo ed
immortalammo l’evento con una foto
digitale. Una foto ricordo. Una di quelle che ci avrebbe fatto dire, davanti ai Ns.
nipoti, “tanto tempo fa la forza scorreva forte ed il nonno … assieme ad altri
inseparabili Cavalieri pescava nei territori di caccia …“.
Il Maestro effettuò alcune riprese con la sua nuova attrezzatura digitale. Una
nuova cam-corder a 3 CCD era stata dotata di una avveniristica custodia
subacquea e le prove iniziali sarebbero state effettuate proprio durante la
missione.
Il Cargo Ichnusa saltò in orario. L’ultima, sebbene il vascello fosse vuoto, fu
proprio l’auto del Maestro con a seguito il carrello col gommone. L’apparente
mancanza di folla, però, ci inganno. Inganno le cui conseguenze pagammo ben
4 rotazioni dopo al Ns. rientro!
Il tempo di crociera fu abbastanza lungo per dibattere sulle strategia di caccia
da adottare e per pianificare la logistica dei primi giorni. Si decise, date le
previsioni ed il tempo attuale, di risalire la costa occidentale e varare il
gommone in un porto sicuro, ma a metà strada tra i fiordi scelti dal Maestro
per la caccia. Se il vento fosse salito, ci saremmo spostati sulla costa orientale
in cerca dei grandi cefali, prede stagionali che richiedevano una particolare
perizia di avvicinamento e tiro, come spiegò il Maestro.
Erano le 16,40 quando i tre velivoli, capitanati dal carrellato, iniziarono a
serpeggiare sulla nera striscia di asfalto in direzione nord ovest.
L’Oro Olimpico mi sedeva al fianco e mi raccontava di quando aveva folti capelli
ed aveva, proprio in quella magica terra, conquistato la sua attuale compagnia,
la dolce Silvia, donna esperta e sapiente farmacista. L’unica che riusciva a
domare il Ns. Olimpico nei suoi istinti e nell’appetito.
Il discorso scivolò di nuovo sulle teorie del Maestro e sulle difficoltà di praticare
l’agguato in risacca, prova che l’Oro Olimpico temeva più di tutte per
l’investitura. Sorridevo all’idea di vedere un forte profondista come lui vestire
lo schienalino e sguazzare strisciando la pancia sui ciottoli di una baietta, in
caccia di spigole in fregola di orate a colazione!
Antu chiudeva il corteo e potei più volte notare il suo sguardo seguire la costa
invece che la strada. Quelle infinite insenature, riempite di acqua cristalline di
fronte al mare aperto ed interrotte da affioranti tratti granitici, lo facevano
sognare ed io sapevo che di lì a poco avrebbe preso la decisione di ritornare
con la sua fida tenda e isolarsi in caccia per settimane e settimane.
La Corsica, a differenza della Terra Santa, restava una terra vergine, selvaggia
e verdissima. Nonostante il progresso e l’insostenibile sviluppo della costa
Italica, quest’isola restava come nell’antichità: impervia ed inaccessibile per
gran parte delle sue coste e delle sue alte creste rocciose. I Corsi, mai domi al
dominio Francese, avevano saputo frenare lo sconvolgente sviluppo edilizio,
preferendo il dominio della loro Isola al potere dei denari dei mutanti.
La strada si inerpicò e costeggiammo un antico paese, caposaldo di antiche
lotte. Poi di nuovo giù, attraverso il verde, fino alla costa. Passammo
l’ennesimo corso d’acqua che anelava al mare, ed io immaginai i branzini ed i
cefali alle sue foci.
Il sole era ormai basso e la giornata volgeva al termine quando,
telepaticamente, il Maestro impose un rifornimento e dopo pochi Km decise lo
stop.
“Qui terremo il gommone. Qui riposeremo e faremo base finché il tempo lo
permetterà. Conosco una locanda che ci ospiterà. Conosco, poi, uno scivolo
che ci aiuterà!” E si sedette … a velocità non aggressiva.
La locanda rese disponibile 2 stanze. Il proprietario si esprimeva in Francese,
lingua che il Maestro “masticava” alquanto, ed in Corso, alternando un dialetto
Gallurese a parole in Genovese antico. Antu sembrava annuire e seguire i tratti
di una lingua a lui familiare.
Tre piani senza ascensore. Due camere con 3 letti.
Litigammo per conquistare la stanza col Maestro. Vinse Filosalato, che avrebbe
diviso per 3 notti un talamo nuziale col Maestro. Non ritenemmo giusto il fato
ma ci consolammo al pensiero che il Maestro soleva addormentarsi come i
cacciatori/raccoglitori di 10.000 anni fa, coperto e difeso dal freddo dai suoi soli
peli. Antu avrebbe giaciuto nel terzo letto e per sole due notti, tanto era stato il
tempo concessogli dalla sua compagna per praticare la nobile arte Jedi.
Io, ancora una volta, avrei diviso le ore oscure del giorno con l’Oro Olimpico,
ignaro della totale entropia che regnava nella disposizione del suo bagaglio … e
della sua attrezzatura da pesca.
Dopo pochi giri delle lancette il gommone fu varato con una impressionante
velocità dal Maestro. Mi vennero in mente i tempi canonici per le operazioni
che noi, comuni pescatori, impiegavamo nel varo e nell’alaggio. Il Maestro,
invece, con manovre rapide e sapienti, calme ma efficaci, che ricordavano
l’antica arte del Tai Chi Chuan, ripose il gommone in acqua, allontanò il carrello
e caricò il serbatoio, prima che la stella Sirio spuntasse all’orizzonte. Sistemato
l’ormeggio, puntò il mare prima, le montagne poi. Inspirò profondamente. Alzò
le braccia e le incrociò al petto. Tutti tacemmo facendo capannello. E lui disse:
“Ho fame ! Quest’aria mi mette appetito. Tutti a mangiare carboidrati. Domani
vi voglio in tenuta Jedi alle 7 in punto e pronti a muovere”.
Tutti annuimmo, e solo L’Oro Olimpico aggiunse: “Buona seeraaaaa” ! E tre!!!!
Quella notte, a cena, il Maestro mi chiamò in disparte e pretese che
investigassi sullo strano fenomeno neuropsichiatrico che affliggeva l’Allievo.
Temeva per la sua investitura. Per la sua integrità.
Dopo aver consumato pizza e calzone innaffiati da birra corsa alla castagna
(non più di 25 cl), quella sera ci alzammo da tavola doloranti. Con un forte
dolore al portafoglio.
TERZA ROTAZIONE
La sveglia suonò alle 6,05. Subito scrutai il cielo e posi attenzione al vento.
Leggero da ovest.
Alle 8,00 prendemmo il mare.
In 5 sul gommone, timonato dal Maestro, navigavamo sui 20 nodi verso
l’estremità sud occidentale del golfo. Ci era stato concesso di caricare a bordo
una sola arma ed eccezionalmente un’asta di ricambio. Solo il Maestro aveva
extra carico: un secondo fucile e la sua attrezzatura da ripresa.
Tre sul tubolare di sinistra, il Maestro in piedi alla timoneria sulla destra ed io in
fondo al tubolare di destra. Nessuno fiatò durante i 20 minuti di navigazione.
Tutti cercammo di rilassarci per richiamare il fluire della forza.
Ognuno era in perfetto assetto da agguato: mute lisce spaccate e mimetizzate,
arbalete dai 90 ai 105 cm. Schienalini e maschere ad ampia visuale. Per
l’occasione io e Maddaloni provavamo una nuova maschera della Spora la
ASP1C, una “frameless” che ci aveva attratto per il suo campo visivo unito ad
un ridotto volume interno.
Il Maestro illustrò la strategia di caccia: in 5 sarebbe stato fondamentale la
pianificazione.
I primi a scendere in acqua furono l’Oro Olimpico e Filosalato. A circa 800 mt
fu la volta di Cossu, poi io, ed il Maestro si allontanò mostrandomi il riparo
dove avrebbe ancorato il gommone per proseguire a nuoto a sua volta.
Mi disse di raggiungere il gommone e di aspettarlo per poi ritornare indietro e
raccogliere gli altri.
Tempo stimato per la prima sessione: 1h e 20 min.
Imbracciavo un 90 con mulinello, asta da 6,5 mono aletta montata verso il
basso ed elastico circolare da 20 mm, un’attrezzatura che definirei aggressiva,
per un pesce bianco di certe dimensioni.
Subito mi resi conto che la nuova maschera mi impediva di compensare, con
scioltezza, senza mani, a causa del nuovo volume che non era abituato a
colmare.
Iniziai ad agguatare.
L’acqua era sui 12°C ed abbastanza limpida nei tratti rocciosi, dove diveniva
torbida nei tratti con fondo misto.
Una decisa onda lunga, residuo di una libecciata dei giorni precedenti,
infastidiva l’avanzamento in superficie accostato alla roccia.
I saraghi giravano più di qualunque altra specie ed iniziai con le prime padelle.
Nei primi 15 minuti avevo già padellato 3 saraghi e la forza mi aveva
abbandonato, lasciando posto alla paura di un cappotto.
“E la paura conduce alla rabbia e la rabbia all’odio e l’odio al lato oscuro della
forza”.
Dovevo calmarmi.
Ripresi coraggio e ripartii dai fondamentali. Il pesce girava, dovevo solo
sfruttare meglio l’onda e pescare su fondale più alto, dirigendomi sulle punte
che cadevano sui5 – 10 mt.
Così, in rapida sequenza, e all’agguato, catturai ben 5 pezzi (saraghi ed un
cefalo).
Ma molte furono le catture che fallii nel tragitto.
Giunto al gommone notai la videocamera scafandrata nel gommone. Le
condizioni dell’acqua e della risacca non permettevano riprese. Anche il sole
era sparito e con esso il Maestro.
Lo vidi giungere quasi subito. Aveva un solo cefalo … ma 3 volte più grande del
mio !
Salpammo e rintracciammo Cossu, giunto oltre il suo limite di caccia. Il forte
Allievo aveva 2 bei saraghi maggiori ed una spigola di 2 Kg ! Il Maestro sorrise.
Sicuramente gli aveva già assegnato l’investitura.
Sparata bassa, ma lavorata a dovere e nel basso fondo.
Poi fu la volta di Filosalato e dell’Oro Olimpico, con carnieri di saraghi e
addirittura un barracuda del Jedi pugliese, anche se il forte Maddaloni era stato
handicappato dalla maschera nuova, che continuamente si appannava, e da
alcune padelle dovute alla risacca. Filosalato era raggiante e rumoreggiante.
Il Maestro accelerò e puntò alla baia successiva.
E disse: “Preparatevi, in acqua il prossimo”.
Tutti ci guardammo stanchi e provati, più che fisicamente, psicologicamente.
Fui l’unico a dire: “Maestro se non ti dispiace vorremo che fossi tu il primo ad
immergerti, noi ci sparpaglieremo come tu ci hai mostrato e ti riprenderemo
tra un’ora”.
Il Maestro capì, rallentò e, portandosi la mano destra sulla fronte a mo’ di
visiera, scrutò la costa e disse: “Lasciatemi lì !”, indicando un punto preciso del
granito.
Usando il suo fido calzascarpe per infilare le pinne, e imbracciando il nuovo
fucile, scivolò in acqua, avendo aggiunto un Kg sotto la giacca, un piombo che
mi ero doverosamente sfilato dalla cintura. L’intenzione di ridurre la batimetrica
era chiara.
Lo vedemmo allontanarsi armeggiando sul fucile, del quale si era subito
lamentato per la durezza dello sgancio e per l’inesatto allineamento del
meccanismo nel monoscocca di legno.
Ci allontanammo, ed in sequenza scesero in acqua Filosalato e Cossu. Poi io e
L’Oro Olimpico ancorammo il gommone più distante e ci allontanammo in
direzione opposte.
Stavolta avevo più fondo e meno tempo.
Pescai all’aspetto, facendo altre due catture (due saraghi) e avvistando
numerose orate sospettose.
Risalito in gommone, mentre scrutavo la superficie dell’acqua per individuare
Maddaloni, vidi giungere il Maestro ! Subito notai le grosse spine dorsali della
sua preda e mai potevo immaginarne la specie ed il peso.
Salì frontalmente, inginocchiandosi sul tubolare come lui vuole per non bucare
il gommone con le spine, manovra che era costato l’esame a molti allievi delle
settimane di scuola blu.
Ancora non potevo scorgere la schiena.
Mi mostrò cosa gli aveva interrotto la pescata: la molletta del meccanismo di
sgancio artigianale, da lui fatto, si era staccata, rendendo inutilizzabile l’arma.
Ma un tiro gli era bastato per catturare una Orata di oltre 3 Kg !
Pian piano furono recuperati tutti ed i
carnieri furono di saraghi: 2 pezzi a testa
per tutti. Il Maestro aveva proibito catture
sotto peso e questo aveva limitato le
prede.
Eravamo comunque soddisfatti del
bottino, che comprendeva anche 2 prede
di rilievo: una spigola ed una grandiosa orata.
Il Maestro volle che si pulisse il pesce prima
di rientrare, in modo da poterlo conservare
in ghiaccio più a lungo. Mentre i coltelli
aprivano le bianche carni, incredibilmente a
riva, un branco di delfini girò attorno al
gommone, attratto dalle interiora.
Il Maestro si rivolse a me e mi indicò di scendere in acqua per controllare
quello che lui definiva “un tratto di costa interessante”: una secca di scogli di
granito affiorava salendo dai 7 metri e veniva battuta dall’onda lunga.
Così feci.
I saraghi che lì si cullavano tra i marosi erano grandi, ma allertati.
Ne strappai uno e capii che dovevo modificare la strategia. Così, mi immergevo
lontano e risalivo verso la superficie strisciando nei canaloni. Questo mi fruttò
un’altra bella cattura.
Fui richiamato in gommone …
telepaticamente.
La giornata si concluse a mezzodì, con
foto di rito a cui il Maestro partecipò di
buon grado.
Il resto della giornata scorse lento tra
il recupero delle energie e la messa a
punto dell’attrezzatura. Il Maestro
lavorò soprattutto alla sua Arma, ne
modificò l’alloggio dello sgancio e
ripristinò la molletta, provvedendo con
mano sapiente a limare le superfici
che riteneva responsabili della durezza
dello sgancio.
Ci trovammo tutti attorno al punto di lavoro e fu lì che fu svelato il primo
assioma su “ l’ARMA, espressione terminale della Forza”. Il Maestro disse: “la
Forza deve dirigere l’arma attraverso le Vs. membra. Il Vs. braccio. L’Arma
deve essere la terminazione naturale di esso e deve calettarsi in maniera
opportuna”. E mostrò a tutti il manico che aveva forgiato.
Quella sera a tavola, in una osteria corsa nella parte opposta del paese a quella
dove avevamo indolenzito i portafogli, si discusse di tale concetto. Ed il conto
fu meno salato.
Alcuni saraghi ed un cefalo catturati finirono in pasto a Filosalato ed
all’affamato Maddaloni. Il Maestro preferì, stranamente, delle proteine diverse.
Io e Cossu fummo obbligati, visto che non mangiamo pesce!
Alle 21 fummo spediti a letto. Dovevamo recuperare e si prevedeva una dura
giornata.
Approfittai dello stato di torpore dell’Oro Olimpico per investigare sulla frase
criptica. Gli dissi: “Maddaloni, buona notte, anzi buona seeraaaaa !”.
Reagì di scatto guardandosi attorno e controllando l’uscio.
Vidi il petto alzarsi ed abbassarsi in una ventilazione frenetica, tipica di chi
iperventila per l’affanno.
Calmatosi, mi raccontò la storia.
Erano passate già alcune rivoluzioni da quando aveva dormito davanti al
televisore ed una nota marca di automobili aveva pubblicizzato il suo prodotto
(senza mai mostrare l’auto) attraverso uno sketch ripetitivo ed a sfondo
sentimentale. Ne era rimasto colpito a tal punto che nei momenti in cui era
soprappensiero ne ripeteva all’infinito la frase finale: era rimasto scioccato e
non ero certo io la persona che poteva analizzarlo.
Ma passai le mani sulla sua mente, richiamando la forza e cercando di
imbrigliare l’impulso, cancellando il ricordo dello shock.
Quella notte dormii in preda agli incubi di Maddaloni che, bussando alla mia
porta, si presentava alla soglia dicendo : “ Buona seeraaaaa !”.
QUARTA ROTAZIONE
“Il vento soffia da nord ovest. L’odore lontano del
Maestrale accompagnerà la nostra battuta di pesca”. Ma
le mie parole si persero nel buio della stanza dove
Maddaloni dormiva saporitamente. L’alba era giunta
portando un deciso vento e spostando le nuvole da
occidente verso oriente.
Uscendo dalle lenzuola infreddolito, il forte atleta
vulcaniano si stiracchiò ed indossò la muta sotto la
doccia calda. Una “manovra” che il Maestro aveva
concesso solo per i pantaloni ed i calzari. Come avrebbe reagito vedendo
l’Allievo vestito ?!
Il grecale che ci aveva accompagnato la mattina precedente, prima dello
spuntare del sole, era sparito. Il Maestrale soffiava stabilmente.
Finimmo di vestirci sul porto. Notai i diversi mimetismi. Il Maestro aveva colori
che “viravano” dal marrone al giallo. Maddaloni: un “prefabbricato” mimetico
Elios sul verde blu. Filosalto: un improponibile rosso sangue raggrumato,
alternato da chiazze di verde vomito. Cossu: addirittura un silver! Io, meno
fantasioso, il solito oro e verde.
Anche in questa battuta ci fu concesso un
solo fucile e questa volta optai per un
magico 100 con manico anatomico,
sempre rigorosamente mulinellato. Fu il
Maestro ad illuderci: “L’Arma da 100 cm
in poi. Anche d’inverno potreste trovarvi,
in queste acque, a tirare alla preda della
stagione !”.
Prendemmo il mare in formazione seduta come il giorno precedente, solo che
stavolta tutti cercavamo un appiglio. Il gommone fu aggredito da un mare di
traverso e timonato verso nord al riparo dell’alta costa. Ma l’onda lunga
proveniente dalle Baleari e sospinta dal Maestrale notturno si infilava nel golfo
in ogni dove.
Dopo 20 minuti il Maestro decise di non proseguire oltre e sparpagliò tutti
lungo un tratto di costa che dal largo, a falce di luna, rientrava nel bassofondo.
Issò la bandiera sul gommone, per renderlo visibile da lontano e quando l’onda
lunga lo nascondeva nel cavo, e disse: “Il tempo è un grande maestro, ma
purtroppo uccide tutti i suoi pupilli” esortando ognuno a compiere il suo
percorso in tempo ragionevole.
Io fui l’ultimo ad entrare in acqua e mi resi conto delle avverse situazioni.
Recatomi in bassofondo potei constatare l’impossibilità di agguatare e tentai di
spostarmi più volte verso il largo dove, ahimè, era già passato il Maestro.
Il vento aumentava e con esso i marosi e la risacca. Più di una volta mi trovai
all’asciutto, con l’onda che aveva ritirato l’acqua tra gli scogli al seguito di un
maroso.
Ci ritrovammo poco dopo in gommone. Il primo a giungere fu Cossu, poi io ed
in fine l’Oro Olimpico … esausto. Ci raccontò del pesce visto e delle difficoltà
incontrate al largo. Poi giunse il Maestro che sfilò nel gommone la sua collana
di 8 saraghi ! Filosalato fu l’ultimo ad essere recuperato. Anch’egli aveva
lottato nel mare grosso.
Il bottino era appena sufficiente e composto da saraghi; io personalmente non
avevo eseguito nessuna cattura. Il Maestro constatò la situazione e convenne
sull’impossibilità di pescare oltre in quelle condizioni.
Mise la poppa al mare e a tutta manetta prese la via del golfo. Avevamo
difficoltà a reggerci sui tubolari mentre il Maestro, irto in piedi davanti alla
timoneria, agiva sul gas e sembrava incollato al pagliolo. Le lunghe onde ci
sollevavano e poi, superandoci, ci accoglievano nel cavo nascondendoci la
costa.
Resosi conto che oramai il mare era grosso il Maestro decise di cambiare
sponda e, onde a traverso, tagliò interamente il golfo per cercare un riparo.
Tutti restammo silenti in attesa di approdare in acque protette e riprendere la
pesca.
Così fu.
A ridosso del lato sinistro della costa, una baia riparata consentì un ennesimo
tuffo a tutti, mentre il Maestro ci faceva da barcaiolo. Altri saraghi caddero
sotto i colpi degli arbalete, ma le condizioni erano al limite.
Alle 13 circa muovemmo in direzione del porto, anche in considerazione del
fatto che l’Allievo Cossu era in partenza per la Terra Santa. In vista del porto, e
come successo il giorno precedente, il Maestro volle che Maddaloni
ispezionasse un tratto di frangiflutti interessante. Mentre il vento spazzava
l’acqua, l’Oro Olimpico si immerse con lo schienalino e precise indicazioni. Il
Maestro lo osservò mentre l’atleta di Vulcanolandia persisteva a tenersi troppo
distante dalle rocce e disse: “Sto guaglione è capa tosta assaje. Mi farà
dannare prima di investirlo !”.
L’Oro Olimpico riaffiorò dall’ennesimo tuffo ed il fusto galleggiò al suo fianco
appena dopo. Tutti sperammo nella spigola. Era un cefalo, ma ben sparato.
Il rientro fu veloce.
Ancorato il gommone, il Maestro disse: “Domani muoviamo ad oriente”.
Mentre il vento increspava anche la superficie del porto e l’attrezzatura veniva
riposta, al riapro degli occhi indiscreti dei mutanti, ci riunimmo sul ciglio del
molo.
Il Maestro prese una delle sue Armi e indicò al Jedi Cossu di inginocchiarsi.
Mentre l’Oro Olimpico e Filosalato
testimoniavano, l’Allievo Cossu fu toccato
sulla spalla ed investito del titolo di
Cavaliere. Tenne il capo chino guardando
la terra e ripercorse tutte le ore passate
in mare che lo avevano portato fino alla
suprema investitura. Ora avrebbe potuto
insegnare l’antica arte Jedi ad altri
discepoli. Ma soprattutto sapeva che era padrone della forza. La sua vita, cioè
il suo modo di pescare, erano ormai cambiati.
Il Maestro lo invitò ad alzarsi e disse: “Ora puoi tornare a casa. Porterai con te
l’intero pescato di questi due giorni. Lo hai meritato e sono fiero di te.”
Come era solito fare, il Jedi Cossu rispose col suo profondo sguardo senza
pronunciare una parola.
Il gommone fu alato sul carrello e messo in condizione di muovere la mattina
successiva. Alle 15 Cossu era andato, col suo bottino e con le nostre
benedizioni. Un vuoto incolmabile restava nelle nostre missioni come nella
stanza ! Il forte Jedi sardo ci sarebbe mancato, assieme alla sua amicizia ed al
suo imperscrutabile silenzio.
La felicità comunque restava ai massimi livelli
e l’unione della forza mostrava strani effetti
sia sul Jedi Filosalto che sul forte Oro
Olimpico: non furono poche le manifestazioni
d’affetto e d’amore Jedi a cui dovetti,
attonito, assistere.
Il giorno passò lentamente. Mi spinsi lontano con Filosalato in cerca di nuove
discese e posti di pesca. Il mare era formato ed un tramonto velato
caratterizzava la scenografia di un posto selvaggio ed aperto ad occidente.
Provai ad immaginare le isole Baleari miglia distanti e nascoste dalla curvatura
della terra.
Restammo a fissare il sole che si tuffava
all’orizzonte, fermi, con i piedi affondati
nella granulosa sabbia e col vento in viso.
Filosalato mi disse: “E’ come se vivessi
quest’istante da un’eternità. E’ il mio primo
pensiero del mattino. E l’ultimo della mia
giornata. Fuggire e rifugiarmi qui lontano
dai mutanti e dal “lato oscuro della forza …“
Il sole si inabissò prima che io mi voltassi a guardarlo camminare verso la riva
e i marosi. Nessuno attorno a noi, solo i solchi dei nostri piedi sulla sabbia ed il
rumore del frangere delle onde. Seppi allora perché eravamo giunti sul pianeta
in quest’era oscura e lottavamo alla ricerca di noi stessi. Capii la forza che ci
attraeva all’acqua e l’un l’altro. Compresi il significato escatologico della caccia
e tentai ancora una volta di rispondere alla rituale domanda … “Chi siamo ?”.
Tutto fu sistemato durante le ore che restavano del pomeriggio: consultammo
le carte nautiche, il sito wap dei venti ed il Maestro scelse il nuovo territorio di
caccia sul lato orientale.
La sera cenammo frugalmente mentre l’Oro Olimpico iniziava ad accusare le
difficoltà di una alimentazione povera ed i brevi tempi di recupero. Fuori
dell’acqua e durante la giornata, cadeva in una strana catalessi. Un torpore
quasi da letargo, come se il suo massiccio corpo volesse difendersi dalle
avverse e mutate condizioni ambientali e nutrizionali.
Quella notte, l’ultima sul lato occidentale e selvaggio dell’isola, il Maestro ci
riunì e pronunciò il secondo postulato dell’Arma, espressione finale della Forza:
“Allievi miei, oggi avete pescato in condizioni avverse. La forza scorre sempre
in voi, ma l’arma per esprimerla deve essere bilanciata e ben progettata.
Qualunque tiro in risacca col braccio flesso, o d’imbracciata, deve trovare
pronta un’arma che ne minimizzi il rinculo e ne esalti la precisione. Che sfrutti
la forza da voi trasmessa.”
Poi ci diede appuntamento all’alba per trasferirci ad oriente.
La notte Filosalato fu esposto al contatto solitario col Maestro e nessuno saprà
mai cosa accadde nel silente fruire delle ore delle quiete della notte quando,
mentalmente, Filosalato apriva la mente ai sogni ed al fluire telepatico delle
menti superiori.
QUINTA ROTAZIONE
L’ultimo ad imbarcarsi nell’autovelivolo fu proprio Maddaloni. L’Oro Olimpico
sistemò la sua enorme ghiacciaia e prese posto al mio fianco. Vittima della sua
innata entropia nel disporre vestiti, suppellettili ed attrezzatura, aveva di nuovo
allontanato il cavalierato, indisponendo il Maestro con il suo ritardo.
Il vento di Maestrale era calato, ma un sostenuto ponente continuava ad
alimentare le onde provenienti dal Golfo del Leone. Serpeggiando lungo la
costa, scrutai le numerose baie notando il frangersi dell’onda. La giornata era
solare.
Giungemmo presto ad oriente, dove il vento
era a regime di brezza e la fioritura delle
mimose e dei mandorli ci proiettava in piena
primavera. L’acqua calma e limpida, il
tepore del sole e la tranquillità dei luoghi ci
invitarono a fermarci per ammirare la baia
prescelta dal Maestro.
Trovato alloggio, varammo il gommone e presto fummo in acqua.
Il Maestro ci anticipò l’incontro con muggini giganti, radunati alla foce dei
numeri corsi d’acqua dolce dove erano in fregola. Ci rammentò la necessità di
esprimere tiri precisi e letali, raccontandoci di fughe indomite di cefali giganti
già colpiti e nelle sue mani, ma non nel cavetto.
Prendemmo il largo nell’ora più calda ed io fui il primo ad essere lasciato nel
bassofondo. Appena in acqua constatai la presenza dei “soliti” saraghi, e ne
catturai uno. Avevo un 100 ed ero contento della scelta.
Dopo un tratto di mare dove avvistai solo piccole orate, mi imbattei in un’altra
zona interessante dove catturai altri 2 saraghi. Ma non vidi cefali.
Recuperato sul gommone potei ammirare con piacere il carniere di Filosalato,
Oro Olimpico e Maestro con addirittura una orata e due ricciolette pescate su
un fondale più profondo. Potei anche ammirare i primi esemplari di cefaloni. E
mi venne l’acquolina.
Durante la seconda sessione fui di nuovo il primo in acqua e mi concentrai sui
cefali, come suggeritomi dal Maestro. Non feci un incontro, riuscii a padellare
solo una discreta orata.
Ripescato, fui assalito dallo sconforto. Il Maestro ed i due Jedi avevano fatto
man bassa dei cefaloni.
Il Maestro capì e mi disse: “Vieni, mentre noi puliamo i pesci tu pescherai dove
ti indicherò io !” ed accelerò, fissando la manetta del gas col solito elastico di
camera d’aria.
Questa è una peculiarità dell’usato mezzo nautico del Maestro. Al centro della
timoneria, sul ripiano che di solito ospita una bussola, vi era una maniglia,
unico appiglio durante le impervie navigazioni. A tale maniglia erano attaccati 2
elastici ricavati da camera d’aria che il Maestro usava per fissare la bandiera di
segnalazione, l’ecoscandaglio e la manetta del gas … forse anche qualcos’altro
che noi non avemmo l’opportunità di notare.
In acqua mi sentii osservato dall’equipaggio del gommone alla deriva, sebbene
i suoi occupanti fossero impegnati nella pulitura dei pesci.
Non ci volle molto a comprendere che dopo i colpi del Maestro, dell’Oro
Olimpico e di Filosalato, che aveva pescato con l’arma Jedi del Maestro, la
stessa che impugnavo ora anch’io, non c’era traccia di squama dei cefaloni !
Così ritornai sconfitto in gommone, ma fui premiato per la mia caparbietà ed
ebbi il permesso di immergermi ancora una volta, non lontano dall’ormeggio e
su delle rocce affioranti non lontane da terra e che avrei potuto battere
rientrando a pinne.
Il sole era basso e l’acqua calmissima. Qualunque rumore si sarebbe propagato
inesorabilmente. Cercai riparo tra le creste affioranti, cercando di muovermi
schermando l’onda di pressione del mio avanzamento.
Fu così, scrutando il campo di caccia prima di avanzare, che scorsi un piccolo
branco di cefaloni a mezz’acqua sulla posidonia, tranquilli nel loro incedere
flemmatico verso una ipotetica meta.
Delfinetto, e giù lentamente verso la loro
direzione, avanzando lentissimamente e
completamente immerso nella verde alga.
Pian piano riuscii a mettermi in rotta e
aspettai che mi giungessero a tiro. Scoccai
l’asta da 6,5 mm dal basso verso l’alto,
colpendo il capo branco in piena testa e
seccandolo all’istante.
Fui sorpreso dal tiro preciso ma fortunoso che aveva pietrificato l’animale.
Notai subito dopo che, a causa del tiro lungo e della dimensione del cefalo,
l’asta non lo aveva trapassato, lasciando l’aletta chiusa nel capo.
Sollevato dalla cattura continuai in scioltezza.
Avvistai così un altro esemplare gigante, ma solitario. Era fermo nella leggera
corrente e si faceva fare la toletta da una castagnola. Anche in questo
frangente fui fortunato riuscendo, silenziosamente, a tirare il mastodontico
cefalo da distanza ravvicinata, ammazzandolo all’impatto dell’asta ed evitando
la bagarre della lotta con un pesce insagolato.
Uscii, così, pago e soddisfatto dall’acqua, con 2 cefali di quasi 2 Kg l’uno a
cavetto.
I Jedi Filosalato e Oro Olimpico mi schernirono ritenendo le mie catture non
valide perché fuori tempo massimo. Il Maestro non commentò, ma approvò le
catture.
Quando la stupenda giornata volse al termine, ci avviammo tutti col mio
velivolo alla scoperta di nuovi tratti di costa e visionammo un bellissimo porto
di eccezionale fattura mutante. Il Maestro ammirando gli 800 mt di frangiflutti
sotto i suoi piedi disse: “Ora capisco dove sono finite tutte le spigole della
costa orientale !”
La notte portò solo delle pizze nei nostri piatti ed il rigore alimentare impostoci
iniziava a pesare. Anche perché un singolo pasto al giorno non poteva
apportare le calorie necessarie all’azione. Il Maestro, sapientemente,
consumava più spuntini al giorno a base di frutta. Noi, sempre in ritardo o
stanchi ed intenti a riposare, rimandavamo il rifocillamento alla sera, quando
era oramai tardi.
La prima e ultima notte nella costa orientale trascorse serena e affollata,
dividendo tutti e 4 la stessa cubatura. La fioca luce delle stelle filtrava tra le
tende e mi rendevo conto, scivolando nel dormiveglia, che stavo per affrontare
l’ultimo giorno della missione.
Avevo anche appreso l’ultimo postulato dell’Arma quale espressione terminale
della forza, completando l’obiettivo della missione:
“L’Arma deve essere armonica e brandeggiabile, facile da riparare.
Essenziale nel suo funzionamento.
Rapida da ricaricare.
L’Arma deve essere eterna come la forza.
L’Arma deve essere l’espressione terminale della forza, della vostra forza.”
A questo punto restava solo da completare la probabile investitura dell’Allievo
Jedi Maddaloni.
SESTA ROTAZIONE
L’ultima mattina fui il primo ad alzarmi mentre il resto della truppa dormiva.
Ovviamente mi recai a “meditare” per primo e aspettai che tutti tornassero dai
loro viaggi onirici.
Prendemmo il mare presto e, sfruttando l’ennesima giornata di calma di vento,
fummo distribuiti su tratti di costa più lontani.
La prima sessione terminò con poche catture, soprattutto fatte dal Maestro.
La seconda si svolse su un fondale più fondo, sui 12 mt. Qui il Maestro si esibì
nella cattura di due dentici … veramente fuori stagione, anche se di taglia
modesta.
Maddaloni portò al cavetto un’orata che, sono sicuro, fu la preda che gli valse il
cavalierato. Filosalto mieteva saraghi.
Richiesi ufficialmente di essere depositato nel tratto di costa dove avevo
pescato il primo giorno. La mia richiesta fu accolta e potei agguatare altri due
mega cefali ed una discreta orata, prima che la lancetta dei minuti compisse
sessanta giri.
Al rientro, il gommone era ancora una
volta cosparso di pesci, e tutti
univamo alle smorfie carnevalesche
imposte dagli stretti ovali, e dalle
rughe di espressione, anche un deciso
sorriso.
Riposta la roba ed alato il gommone, il Maestro si avviò per la doccia prima del
rientro.
Maddaloni si attardò con la muta indosso. Pulì i pesci, ripose le armi e aspettò
sotto il caldo sole. Ad un tratto il Maestro scese e mi chiamò. Giunse anche
Filosalto.
Sullo sfondo il mare turchese era
una lastra di vetro. Le basse rocce
che incorniciavano la sabbia della
battigia contrastavano i colori
dell’acqua. Su questo palcoscenico
naturale l’Oro Olimpico si inginocchiò
e un legno gli toccò la spalla, mentre
la mano sinistra del Maestro era
appoggiata sulla testa rasata (pelata !).
Assistetti in piedi al compiersi dell’ennesimo evento di quel raduno.
A Bonifacio giunsero notizie funeste assieme alla prima perturbazione che
colpiva la terra Corsa. Il Cargo Ichnusa doveva trasportare una quantità di
mezzi pesanti dei mutanti, negando l’accesso ai nostri velivoli, soprattutto a
quello carrellato del Maestro.
Quella notte saremmo dovuti rientrare, saltando il Tirreno, per essere travestiti
da mutanti il giorno dopo. Mi adoperai personalmente affinché la lista d'attesa
accogliesse le nostre preghiere e feci fluire la forza nell’impiegato corso alla
biglietteria.
Quando il cargo giunse ed imbarcò, ci rendemmo conto che il Maestro avrebbe
dovuto restare in Terra Corsa e aspettare il cargo successivo la mattina dopo.
Il sole era basso e coperto dalla compatta coltre di nubi veloci spazzate dal
Maestrale. Tutti osservammo il Maestro compitamente accettare il destino e,
mestamente avvolto nella sua giacca di Goretex, col cappuccio calzato,
stazionare sul ponte mobile d’imbarco.
Ci salutammo affrettatamente e troppo rapidamente dopo aver trascorso tali
emozioni assieme.
Giurerei di averlo visto triste quando il ponte levatoio del cargo si alzò,
nascondendolo gradualmente alla nostra vista. Tutto diventò improvvisamente
plumbeo.
Le sue ultime parole nel vento o nella nostra mente furono: “Il tempo è troppo
lento per chi aspetta, troppo rapido per chi ha paura, troppo lungo per chi
soffre, troppo breve per chi gioisce. Ma per chi ama il mare tempo non
esiste !”.
Capimmo e lo vedemmo scomparire lentamente con quella sua andatura non
aggressiva.
Lo lasciammo, solo, in Terra Corsa.
Quella sera, tristi per non essere rimpatriati al completo, ci consolammo
ingurgitando 2 mega pizze a testa in una nota pizzeria Vulcaniana di Olbia.
L’Oro Olimpico ristabilì la temperatura nella ghiacciaia questuando, a destra e a
manca, l’acqua solida in cubetti.
Fummo i primi ad imbarcare e a scivolare nell’oblio prima che il cargo lasciasse
gli ormeggi.
Sognammo del Maestro …
… ritrovato alcune lune dopo, a bordo del suo gommone, al largo delle coste
delle isole Baleari dove si era spinto in cerca di nuovi territori di caccia. Non
sapemmo mai come e quando avesse raggiunto acque così lontane.
Sapevamo che aveva detto: “ … per chi ama il mare il tempo non esiste !”.
E lo spazio ???
SETTIMA ROTAZIONE
Al risveglio non sapemmo se avevamo sognato o … cosa.
Giunti allo spazio-porto di Civitavecchia, la zaffata di aria salmastra mista a
smog che ci colpì all’apertura del portellone di carico disse fine ai nostri sogni.
Una dura realtà ci attendeva.
Un pensiero ci assillava: sopravvivere fino alla prossima missione, fino al
prossimo raduno.Ci guardammo e, pensando al fratello Jedi Cossu, ci
giurammo amicizia e lealtà … fino a che la forza fosse scorsa in noi. Fino alla
fine dei nostri giorni acquei.
Lucio – Gatto Libero