Diario di Pesca n°23
17 Dicembre, 2001
Il giorno del mio cinquantanovesimo compleanno ho festeggiato l’evento in
mare.
Gravato dalla nuova attività di costruttore di fucili ad elastici dal fusto di legno,
mi sono immerso a Costa Paradiso, nella duplice veste di collaudatore del mio
fucile e di pescatore-etologo (quest’ultima figura mi è ormai riconosciuta dalla
maggior parte dei pescatori subacquei).
Lo studio teorico/costruttivo degli arbaléte mi ha portato recentemente ad
indagare sull’azione dell’archetto che si aggancia all’intaglio nell’asta e, dopo
quasi vent’anni che impiego un archetto snodato, con mia sorpresa, ho dovuto
constatare che questo tipo di aggancio all’asta produce una spinta
meccanicamente scorretta: oltre a spingerla in avanti, ne solleva la coda verso
l’alto, abbassandone la punta e contribuendo a provocare un “tiro basso”
(certezza che risulta da un’analisi attenta dei fermo immagine delle
videoriprese subacquee della traiettoria seguita dall’asta appena scoccato il
tiro).
Inizia così il calvario della progettazione e del collaudo di un nuovo tipo
d’archetto, dico “calvario” perché con un pensiero fisso in testa, nelle
immersioni non riesco ad avere la mente sgombra per concentrarmi sulla
caccia.
In questi ultimi vent’anni di pesca quotidiana, durante la battuta, ho imparato
a creare il vuoto mentale per fare affiorare l’istinto del cacciatore che c’è in
molti di noi, sotto la sovrastruttura culturale di poveri mutanti.
Costa Paradiso presenta una costa rocciosa di granito rosa, abbastanza ripida
sul mare, ricca d’insenature dove si trovano spesso franate di massi con
nascondigli, tane, canaloni, ideali per tutte le tecniche di pesca.
Al largo, poi, su un fondo di venti metri e oltre, s’incontra una risalita che corre
parallela alla costa ed arriva in alcuni casi a creare alcuni scogli affioranti.
In questi ultimi mesi ho perso un costante contatto con l’ambiente subacqueo e
avrò bisogno di un lungo test iniziale a quote diverse per capire come, e dove
si muove il pesce.
Nella stato di conflitto interiore tra progettista e cacciatore inizia la battuta di
pesca con delle condizioni meteo-marine non proprio favorevoli: una leggera
risacca prodotta dall’onda lunga delle recenti mareggiate e l’acqua che si
presenta torbida, tipicamente invernale.
Decido di partire con l’agguato lungo le ripide pareti di granito: ho impostato la
zavorra per poter immergermi anche a quote profonde sulle risalite al largo,
così per l’esplorazione iniziale nel basso fondo, mi appesantisco con una pietra
infilata nella cintura elastica.
Non ho ancora descritto la tecnica dell’agguato in parete, colgo quest’occasione
per accennarla, riservandomi una descrizione dettagliata nel mio prossimo libro
dove teorizzerò le mie strategie di pesca in movimento.
Pratico l’agguato in parete quando la costa scende ripida verso il fondo ad oltre
cinque metri di profondità, con una pendenza che offra pochi ripari tranne i rari
canaloni e le punte rocciose.
Avanzo in superficie strisciando con la spalla contro la parete, sfrutto tutte le
sinuosità della costa pur di avere una parziale copertura visiva e sonora nei
confronti delle possibili prede.
Quando è possibile, compatibilmente con le condizioni del mare, cerco di
avvistare il pesce dalla superficie, altrimenti, nei punti topici del litorale mi
immergo fino alla base della parete, per avanzare sott’acqua “a velocità non
aggressiva” nell’esplorazione di canaloni, nicchie e tutte le zone che possano
celare una preda a razzolare in parete o sul fondo.
A Costa Paradiso, raggiungo ottimi risultati immergendomi poco prima delle
insenature per muovermi ed esplorarle con un agguato strisciato sul fondo.
Quando mi affaccio in un’insenatura e la stagione è favorevole, spesso, trovo
alcuni pesci, quelli più vicini all’imboccatura, che stanno già muovendosi per
guadagnare il largo (è inevitabile che abbiano sentito il rumore della mia
immersione), in questo caso mi tengo pronto per un tiro d’imbracciata.
Non demordo anche se non vedo nulla, perché dal fondo dell’insenatura può
apparire in qualunque momento un pesce rimasto nascosto da qualche masso
e continuo ad avanzare strisciando, fino ad aver esplorato tutta l’insenatura.
Fin dalle prime immersioni appare evidente che l’attuale stagione non offre
grandi opportunità di cattura: nell’acqua fredda e lattiginosa si muovono pochi
saraghi di piccola taglia, anche le salpe di solito abbondanti, sono ridotte a
sparuti gruppetti di pesci diffidenti che, appena messi in allerta, si ostinano ad
andare nella stessa direzione del mio avanzamento.
Infastidito da un branco di salpe che mi segue allarmando i pochi altri pesci, mi
allargo, perciò, verso il mare aperto, dopo aver affondato la pietra piatta messa
in precedenza sotto la cintura dei piombi.
Nella colonna d’acqua si trova molta “minutaglia” che al minimo rumore o
anche con la sola immersione compie quei caratteristici scarti bruschi così
rumorosi in un ambiente dove il rumore è raro e segnala sempre un pericolo
per tutti i pesci.
Ci vuole tutto il mio autocontrollo per non infastidirmi e perdere la calma, mi
ripeto che dovrò trovare un pesce di taglia per tirare e controllare la dinamica
del tiro e la precisione col nuovo archetto.
Mi sfogo con due pizzuti, specie di Saraghi coi quali sono tremendo!
Sulle pareti rivolte verso il mare aperto trovo diversi gruppetti di Saraghi
fasciati, sotto taglia, che al minimo accenno di agguato profondo schizzano via
in tutte le direzioni.
Cambio allora impostazione per dispormi mentalmente all’aspetto classico,
quello passivo, ma con questa tecnica, purtroppo, viene solo una motovedetta
dei Carabinieri.
Sento il rumore delle eliche da lontano, ho dimenticato il pallone segnasub
(sicuramente sarà l’unica imbarcazione della giornata in miglia e miglia di
costa) e penso già che: un bel verbale da due milioni è il giusto regalo di
compleanno (a proposito me lo faranno in euro!).
Uso la tecnica da incursore: tolgo il tubo del respiratore dal cinghiolo e lascio
che galleggi sull’acqua (da lontano si vede di meno), poi col movimento delle
mani, il fucile tra le cosce, tengo il corpo leggermente affondato.
Non mi vedono e si dirigono verso Castelsardo controllando ogni insenatura
della costa, chissà cosa vanno cercando! Poi penso che è sabato, chissà quanti
pescatori subacquei beccano al sabato…
Concentrazione, addio!
Torno in parete giusto per fregare un’orata di nove etti, messa in verticale, con
la testa nascosta da una pietra e la coda in corrente: è il terzo tiro, il terzo
centro, ma non mi “gaso” perché ho già notato che al momento del tiro se non
tengo ben ferma l’impugnatura questa sale vistosamente, segno inequivocabile
che l’archetto spinge la coda dell’asta verso l’alto, scaricando la componente
verticale della forza degli elastici sullo scatolato del meccanismo di sgancio.
Stavo osservando anche che le nicchie della costa pullulavano di branchetti di
subadulti di Salpe, quando, non credo ai miei occhi: vedo uno sciacallo!
Si, un Dentice di tre chili solitario che si aggira anche lui spaesato di fronte ad
un’insenatura.
Per fortuna l’avvistamento avviene sul fondo dopo un breve spostamento
rasente il terreno e dopo essermi affacciato sopra una roccia.
In questa stagione i Dentici non vengono all’aspetto, ma non me la sento
nemmeno di proseguire nell’agguato(sono a corto di fiato), allora provo a fare
il polpo, abbassandomi e sollevandomi sopra la roccia che mi copre di fronte al
pesce, e funziona!
Non so se per caso o per il trucco, vedo che il Dentice si avvicina.
Sollevo il braccio e faccio scapolare il fucile sopra la roccia, poi sollevo la testa
per mirare: il Dentice è finito sotto la roccia che mi è servita da riparo, era
venuto nella mia direzione solo per caso, tiro con la mano sollevata sopra la
spalla con una mira approssimativa e lo colpisco in pancia. Complimenti!
Lo perdo dopo dieci secondi…
Sarà colpa dell’archetto o del tiro sporco?
Meglio che pensi che è colpa dell’archetto, comunque sarà meglio controllare
ancora.
Osservo accuratamente l’orizzonte per evitare brutti incontri e mi porto di
nuovo verso il largo: ritrovo sommi quasi affioranti dove alla base stazionavano
sempre numerose Corvine, ma oggi niente!
Mentre scendo e giro la testa controllando il circondario noto sempre pesci che
scappano: sarà colpa dell’acqua torbida o la lunga assenza dalla pratica
subacquea mi ha fatto perdere l’acquaticità?
Qui ci vuole la proverbiale botta di …per non ricordare il cinquantanovesimo
compleanno come quello del declino.
Mi racconto che devo trovare pesce anche per provare la precisione del tiro
(potrei mettermi a tirare alle Castagnole ma non ci riesco, mai così in basso!)
Noto allora il comportamento strano di un Cefalo che invece di starsene a galla,
entra ed esce da una serie di spacchi passanti sotto le rocce.
Penso subito a qualche grosso Barracuda che si aggira nei paraggi, poi,
nell’ansa successiva riesco ad arpionare un Sarago di appena tre etti, con un
bel tiro.
Mentre lo sfilo dall’asta, in fondo alla insenatura, scorgo uno strano movimento
tra un gruppo di massi appoggiati sul fondo, faccio per avvicinarmi e mi blocco
immediatamente: sono grossi Saraghi.
Rinculo e ricarico, immersione rapida e avvicinamento nascosto fino ad arrivare
a godermi la scena di una decina di saraghi ignoranti che, anche loro, entrano
ed escono da due tane senza capire che rischiano la vita.
Cerco la coppiola fuori dalla tana, ma non ci riesco, non si allineano mai!
Provo un tiro in testa e questo mi riesce: il Sarago resta immobile nell’asta,
solo un parente se la fila scodando tra le spaccature, gli altri si rincagnano in
tana.
L’immersione successiva infilo la testa sotto il sasso dove li ho visti entrare e
sono lì, con i movimenti tipici del sarago nella tana, un po’ inquieto un po’
curioso, ma che non si allontana.
Cerco di nuovo la coppiola, ma non è giornata e mestamente agguanto un altro
sarago da chilo: non è una tecnica di pesca che mi aggrada molto…
Mentre recupero il Sarago una Mostella, baffi in corrente, viene a controllare di
chi è il sangue che si sta diffondendo nella tana, così il tuffo successivo tocca a
lei!
Mai lasciare inesplorate le tane intorno (primo comandamento del buon
“tanaiolo”):
in effetti, sorprendo altri due Saraghi della stessa taglia in uno spacco vicino.
La situazione venatoria si è evoluta al meglio, ma trovo inspiegabile come nel
deserto di vita generalizzato di quel tratto di costa, si sia creata questa strana
concentrazione di Saraghi.
Trovo la spiegazione aprendo la pancia dei pesci: si trattava di un gruppo di
Saraghi in riproduzione e la memoria mi riporta in mente situazioni analoghe
vissute nel passato proprio all’inizio del mese di marzo.
Alcuni sparidi, nonostante la ormai diffusa abitudine di riprodursi a maggiore
profondità vengono, a volte, nelle anse della costa a compiere il loro rito vitale.
Questa constatazione rende un po’ amara la soddisfazione di aver realizzato
con relativa facilità un buon carniere.