Diario di Pesca n°24
25 Aprile, 2002
Questo resoconto si riferisce alle battute di pesca realizzate a cavallo del ponte
festivo del 25 aprile 2002.
La fine di aprile ha rappresentato un momento storico della mia attività
didattica: abbandonate le “Settimane Blu” in barca a vela, mezzo poco
congeniale alla pesca subacquea, mi sono attrezzato per continuare i miei corsi
di pesca (nuova denominazione: “A pesca con Giorgio”) con una formula più
tradizionale, quella del gommone sul carrello.
I limiti evidenziati nelle sei Settimane Blu gestite dalla North Sardinia Sail e
dirette da me la scorsa primavera- estate hanno riguardato, in prevalenza, i
lunghi spostamenti e l’impossibilità di scegliere le zone di pesca in funzione
delle condizioni meteorologiche, per i vincoli della lentezza del mezzo nautico.
Ho pensato allora di cambiare!
Con la formula del gommone sul carrello porta-barca e ritorno a terra dopo
ogni battuta, l’organizzazione del corso diventa più elastica e, soprattutto,
rivolta esclusivamente alla pesca e non alla vela, stupenda, a chi piace, ma
esasperante per chi è interessato solo a stare sott’acqua!
Dopo una breve presa di contatto via “E- Mail” ecco il primo allievo, Sergio di
Bergamo, seduto sul mio divano che mi pone cento domande alle quali
rispondo un po’ fuori dai canoni del corso cattedratico tenuto in barca a vela
nella passata esperienza: il rapporto diretto allievo –maestro consente una
maggiore elasticità nello sviluppare la parte teorica che diventa una
chiacchierata impostata sul rapporto dialettico.
Alla fine Sergio è sufficientemente convinto ed eccitato da accettare di alzarsi
alle cinque di mattina.
Porto il gommone (Novamarime 450 Yamaha 25 cv) a Santa Teresa mentre un
mare “forza olio” invita a traversare le Bocche di Bonifacio per raggiungere
capo di Feno, punta sud –ovest di quest’isola, una volta collegata alla Sardegna
e della quale ricorda molto il paesaggio, sia emerso, che subacqueo.
Durante la traversata si evidenzia subito un fenomeno che caratterizzerà le
battute di pesca dei giorni che sto per narrare: qualcosa galleggia sull’acqua!
Intere strisce di una sostanza indefinibile creano uno strano effetto ottico a
seconda del punto di osservazione: a volte sembrano assembramenti scuri,
altre volte quasi trasparenti come un effetto grandine sull’asfalto.
Sono le vele organiche della Velella velella, grosso idrozoo
cosmopolita, sulle quali i raggi del sole creano strane rifrazioni ottiche.
Questo idrozoo, meglio conosciuto col nome di Barchetta di San Pietro, ha una
vita complessa caratterizzata da un’alternanza di generazioni:
[“… La parte galleggiante costituisce infatti la generazione polipoide da cui si
originano piccole meduse natanti a forma di campana e sessuate. Raggiunta la
maturità sessuale, liberano i gameti dalla cui fusione avrà origine la colonia”
…”Colonia galleggiante grazie ad una serie di camere d’aria comunicanti con
l’esterno. La parte emersa consiste di un disco ovale con un’espansione
membranosa di forma triangolare. La parte sommersa porta una serie di
tentacoli, in realtà singoli polipi, suddivisi in gruppi specializzati: nutrizione,
riproduzione , difesa.
In tutti gli elementi della colonia sono presenti alghe simbionti (zooxantelle).
La colorazione è bianco-bluastra” (tratto da Flora e Fauna del Mediterraneo di
Angelo Mojetta e Andrea Ghisotti).]
Una concentrazione di miliardi di esemplari a formare la colonia più vasta che
abbia mai visto ricopre tutto il canale delle Bocche, creando un’atmosfera
irreale durante la traversata.
Giunto a Capo di Feno mi accorgo che una leggera “onda morta” di
libeccio increspa gli scogli di granito, mentre le baie deserte e
silenziose sono ricoperte da una poltiglia gelatinosa: la Velella ha
chiuso il suo ciclo biologico contro le rocce, spinta dal vento e dalle
correnti.
La massa galleggiante è tanto spessa che riesce ad attutire la risacca e un
odore particolare di selvatico e di decomposizione, fa apparire il posto, così
conosciuto, quasi estraneo.
Sono concentrato però nell’impostare la prima lezione pratica, nella
quale studio l’assetto in acqua dell’allievo e stabilisco le prime regole
fondamentali dell’agguato.
Sulla punta della prima insenatura, io davanti col fucile , Sergio dietro, a
studiare le mie mosse, incontriamo subito due Oratelle che stanno passando
nel canale tra due scoglietti: affondamento rapido verticale, imposto un’attesa
nel punto del loro possibile passaggio ed in effetti sono quasi a tiro quando,
con la coda dell’occhio, scorgo altre due Orate, molto più grosse che sembra
vogliano seguire lo stesso tragitto.
Mi disinteresso dei primi pesci ed avanzo verso le nuove prede, che però si
allontanano, forse disturbate da qualche rumore di troppo del mio
avvicinamento, o per qualche mossa di Sergio che mi osserva in superficie.
La lezione impostata con il maestro davanti a mostrare l’azione di caccia e
l’allievo dietro a vivere in diretta le catture, deve giungere ad un buon
affiatamento e sincronismo d’azione prima di arrivare a passare inosservate
alla percezione dei pesci.
Non è facile con la risacca seguire la dinamica dell’agguato e restare
contemporaneamente nascosti, anche perché, a volte, sparisco nella
schiuma del frangersi dell’onda.
Le condizioni del mare sono al limite dell’agguato in superficie
(avvistamento del pesce da galla e seguente azione di avvicinamento e
tiro) e l’agguato nel basso fondo (immersione a ridosso di un punto
topico con tragitto di esplorazione subacquea, pronti al tiro
d’imbracciata o a finalizzare la cattura con un aspetto)
L’agguato nel basso fondo con mare mosso, non si può seguire che
immergendosi in sincronia col maestro, e come prima lezione può
essere troppo impegnativa per l’allievo, così, cambio zona: mi
addentro nel golfo di Ventilegne verso gli scogli della Tonnara, dove la
risacca non è così forte come sulla punta del promontorio di capo di
Feno.
Le prime immersioni sul Capo, però, avevano evidenziato un comportamento
del pesce decisamente nervoso, presumo, in rapporto alla ridotta visibilità della
parte profonda delle insenature dove , in prevalenza, si trovava raccolto a
cibarsi delle carcasse della Velella.
L’idrozoo in decomposizione sul fondo e in superficie, oltre a formare una
strana sospensione opaca, stendeva una coltre che non lasciava passare i raggi
di luce, mentre in quelle condizioni era impossibile qualunque avvistamento
tempestivo, sia in immersione che dalla superficie, mentre i pesci, con il loro
sensori acustico-laterali, anche al buio si accorgevano della nostra presenza.
Nel passato mi ero già trovato in una situazione simile, anche se provocata da
una causa completamente diversa: la carcassa di una Balena, spiaggiata in una
baia accanto a Punta Lunga nell’isola di Razzoli, aveva creato un vasto strato
gelatinoso di grasso superficiale che filtrava la luce, mentre le sostanze
organiche disciolte nell’acqua la rendevano torbida, almeno nella parte più
vicina alla superficie.
Era necessario affondare silenziosamente e tenersi vicini al fondo per osservare
branchi di Saraghi e di Occhiate che si ingozzavano del grasso e della carne in
decomposizione della Balena.
Ogni minimo rumore, però, in quell’ambiente oleoso e scuro generava un
panico indescrivibile, con i pesci che schizzavano da tutte le parti e “l’effetto
confusione” in me, che cercavo di avvistarli per tempo e tirare.
Ricordo che la circostanza aveva portato a pochissime catture!
Gli scogli della Tonnara, staccati dal litorale, non avevano raccolto le carcasse
della Velella che probabilmente si trovavano più sotto costa.
Poca risacca e acqua trasparente: Sergio impugna l’arma e dimostra di
essersi impadronito sorprendentemente bene della strategia
dell’agguato.
Il suo passato di cacciatore terrestre e l’aver visionato i miei video
sull’argomento, probabilmente hanno accelerato un apprendimento che per
altri allievi, invece, è molto più lento.
Inanella due Saraghi, uno dietro l’altro e dimostra, anche, di aver preso subito
padronanza del mio nuovo fucile con fusto in legno ed elastico circolare.
Quaranta minuti di viaggio e siamo di nuovo nel porto di Santa Teresa, per una
strategia “mordi e fuggi” che lascia tutto il tempo al recupero delle energie, a
terra, la manutenzione dell’attrezzatura e tutte le altre attività di terricoli, di
anfibi mancati…
Il giorno dopo, burrasca in corso, tuoni, fulmini e saette, piove!
Alle sei di mattina ci troviamo di nuovo a Santa Teresa con tutte le buone
intenzioni di due cacciatori incalliti, ma ci guardiamo in faccia e in cinque
minuti siamo nel bar dove lavora Simone, altro pescatore subacqueo in attività,
col quale parliamo di pesci tra un sorso di cappuccino e un morso al “cornetto”.
Ancora un giorno di tempo brutto, poi, all’alba un’altra bonaccia ed una
traversata tra le Velella che sempre più numerose, spinte dalla burrasca del
giorno precedente, ricoprono il canale tra la Sardegna e la Corsica.
Ancoro il gommone nell’ansa dietro Punta Sperono, estremo sud –est della
Corsica, al limite del parco di Lavezzi, colma di carcasse di Velella che formano
uno strato denso e compatto.
Appena in acqua, scorgo un branco di Saraghi che, con un comportamento
eccitato, gira sotto le mie pinne, ma la planata e il tiro in caduta seguente, per
due volte, è seguito da una “padella”: nell’acqua di densità e sospensione
insolita, faccio fatica a realizzare un corretto allineamento di tiro.
E’ ormai evidente che i Saraghi si stanno alimentando con le carcasse
dell’idrozoo, anche gruppetti di Cefali a testa in su sembra boccheggino mentre
ingurgitano la poltiglia che galleggia.
L’atmosfera subacquea è di una forte frenesia alimentare: una specie di manna
terrestre è comparsa sott’acqua e indistintamente tutte le specie si cibano
senza fatica, anche in superficie i gabbiani dimostrano di gradire quel tipo di
alimento.
Tutti ne approfittano, anche io devo trovare la strategia giusta per sfruttare
l’abbondanza di pesce nelle anse della costa.
Nei punti dove lo strato di Barchette in superficie è così denso da oscurare il
fondo resto immobile per molti secondi, finché una debole specchiata della
livrea argentea del pesce lo mette in evidenza e allora parte il tiro!
Non è comunque così semplice perché nel torbido, anche in questo stato
frenetico, tutte le specie hanno i sensi acustico-laterali al massimo dell’allerta:
per un condizionamento genetico sanno che l’abbondanza di cibo porta anche i
predatori.
Cadono sotto gli occhi di Sergio, che stranamente non mi chiede di passare
all’opera, un po’ di saraghi, qualche cefalo ed una spigola di cui avevo
avvistato per tempo l’arrivo nascosto dietro uno sperone e avevo catturato
affondando poco prima del suo passaggio.
Lascio il fucile a Sergio e torno indietro a prendere il gommone per battere un
altro tratto di costa.
Ora è l’allievo che deve dimostrare di aver capito la strategia del momento:
qualche correzione sulla scelta dei tragitti (da preferire quelli con la pancia
sugli scogli) ed ecco che ci affacciamo su un canalone, rivolto verso il mare
aperto, chiuso dalla parete di uno scoglio semi-affiorante.
Un’Orata in pieno sole, proprio davanti a noi, avanza verso questa parete con i
suoi caratteristici movimenti alimentari: ondeggia masticando chissà quale
boccone.
Sono addosso a Sergio e gli stringo il corpo in un abbraccio che vuole
trasmettergli fisicamente “La Forza del Maestro”, ma non ne ha bisogno: con
movimento fluido plana verso il fondo e avanza verso la preda a velocità non
aggressiva.
Per pochi istanti lo invidio, sta vivendo il momento magico della predazione:
l’avvicinamento ricco di eccitazione e di speranza.
Unico errore il tiro un po’ alto con Sergio che si compiace della cattura (non
ancora conclusa!) .Mi precipito sul pesce che si dibatte come un ossesso e lo
stringo nel punto tra la ferita e l’asta.
La sera il rito della caccia si conclude a tavola: Orata e champagne!