n.28 - Diario di pesca

Diario di Pesca n°28
26 Dicembre, 2002
Con le gambe ancora indolenzite per la lunga “pinneggiata” del giorno
precedente, alla ricerca di qualche spigola nel basso fondo, oggi ho deciso di
cambiare completamente strategia di pesca.
In questo periodo, il progetto di terminare le riprese del video sull’agguato alla
spigola dalla superficie sta condizionando le mie battute di pesca, anche se, a
volte, lascio la videocamera su uno scoglio per spingermi al largo e fare
qualche “tuffo profondo”.
In questi mesi non ho fatto altro che inseguire gli avvistamenti di spigole
segnalate dai miei informatori, con scarsi risultati sotto il profilo delle azioni di
pesca documentate.
E’ doloroso ammettere che questo predatore, almeno nella parte nord orientale
della Sardegna, sta adottando abitudini diverse dagli standard conosciuti,
fenomeno che si può inquadrare in un’evoluzione del suo comportamento.
Di giorno, è sempre più difficile arrivare almeno ad un avvistamento per
battuta di pesca, mentre di notte, sia i pescatori con la canna, dalle spiagge
con l’esca viva, o dai moli dei porti col “bigattino”, sia i bracconieri che
praticano la pesca subacquea con la lampada, arrivano a catture anche
sensazionali, come peso e come numero di prede.
Ieri, ad esempio, mi è stata segnalata la cattura in grotta, nel tardo
pomeriggio, di un grosso esemplare, rifugiatasi al buio insieme con altre tre
compagne di branco, probabilmente, per trascorrere il periodo diurno senza
correre pericoli e uscirne poi al calar delle tenebre.
E’ risaputo da sempre che la spigola è un predatore prevalentemente notturno,
ma gli anni scorsi, in questa stagione, anche di giorno s’incontrava nel basso
fondo, soprattutto vicino alla foce di fiumi, sull’antimurale dei porti e in
generale sui bassi fondi sabbiosi o misti a posidonie.
Sembra che il nostro predatore, alla stregua di altre specie, faccia l’elastico tra
gli alti fondali, di giorno, e basso fondo, di notte.
Qualche settimana fa in coppia con Massimo Quattrone in veste di operatore,
dopo aver cercato senza successo di filmare qualche spigola dalla superficie,
cambiata batimetria di pesca, abbiamo avvistato entrambi, isolati, a venti
metri di profondità, quei pesci che nel passato battevano la schiuma: io
arrivando a catturarne uno di 2 kg “all’aspetto”, Massimo, avvistando una
spigola, molto grossa, mentre stava immergendosi verso il fondo.
Stesse osservazioni, qualche giorno dopo, nelle vicinanze di Costa Paradiso, ad
ovest di Santa Teresa: solo due fugaci avvistamenti di spigole, dalla superficie,
in una situazione d’assenza di pesce nel basso fondo, veramente
demoralizzante.
Al largo, invece, era facile incontrare dei saraghi di grossa taglia e con mia
gran sorpresa, anche i Dentici!
Chi avesse letto il mio ultimo libro sull’aspetto dinamico al Dentice ricorderà
che descrivo quest’altro predatore come un migratore stagionale: con
l’inversione termica degli strati della colonna d’acqua, abitualmente, questa
specie si sposta in branco dai cappelli delle secche verso fondali più profondi,
migrazione documentata sia dalle nostre osservazioni di pescatori subacquei,
sia dalle catture di grossi esemplari con i palamiti da parte dei pescatori
professionisti.
In Sardegna non mancano certo i Dentici anche d’inverno, ma la loro presenza
è comunemente isolata: grossi “sciacalli” che, a volte, si trovano a razzolare
nel basso fondo alla ricerca di prede in difficoltà, ferite dalle devastanti
mareggiate di stagione.
Devo concludere che nel mondo sommerso è assai difficile arrivare a stabilire
regole fisse sul comportamento dei suoi abitanti.
Lo sforzo di razionalizzare le mie osservazioni per giungere ad una conoscenza
da sfruttare nelle battute di pesca future, è regolarmente frustrato dalle
osservazioni di un’annata anomala.
Nella mia analisi, forse, manca la valutazione di tutti i fattori che influenzano il
comportamento dei pesci, o, semplicemente, si deve convenire che la casualità
è la sola e unica regola sempre valida nel mondo sommerso!
Gli O-ring ben ingrassati e gli obiettivi puliti senza un granello di polvere, oggi,
allora, lascio le custodie e le relative videocamere a casa per una battuta di
pesca in profondità!
Per l’impresa, mi sono attrezzato con un vestito particolare: rinunciando alla
muta da sette millimetri di spessore, necessaria per l’agguato nel basso fondo,
ambiente freddo, meglio dire, gelato quest’anno per le abbondanti piogge
dell’autunno.
Ho adottato un vestito di neoprene più leggero, da 5 mm al quale ho incollato
un ulteriore strato di neoprene nei punti del corpo dove, in immersione,
avviene la maggior dispersione termica: in corrispondenza del torace e
dell’addome.
Con un foglio di neoprene da 3 mm ho costruito un cappuccio, da indossare
come una cuffia sotto la muta.
A contatto con la pelle ho indossato anche un monopezzo sottile (da 1 mm):
bermuda con canottiera.
L’evoluzione dei vestiti subacquei per comodità dei costruttori, non ha tenuto
conto dei punti del corpo dov’è necessario un maggiore isolamento termico: si
taglia la muta da un foglio dello stesso spessore, col risultato che, ad esempio,
braccia e spalle dove il corpo umano nell’acqua disperde meno calore, si
trovano protette con lo stesso spessore di neoprene a difesa dello stomaco.
Non si può affermare che un’abbondanza di copertura non guasti mai, perché
si paga in termini di zavorra da adottare per raggiungere l’assetto desiderato in
immersione.
La zavorra necessaria per un’immersione con una muta da 7 mm di spessore
per un subacqueo di taglia 48/50 può superare anche i dieci chili di piombo ed,
in profondità, provoca un assetto eccessivamente negativo dovuto allo
schiacciamento dell’aria contenuta nelle cellule del neoprene per la pressione
idrostatica.
Lo spezzare in due vestiti di piccolo spessore, da indossare uno sopra l’altro,
inoltre, isola termicamente il corpo del sub meglio di un unico vestito dello
spessore pari alla somma dei due, per un fenomeno che in “Idraulica” si
definisce “tenuta a labirinto”(le eventuali infiltrazioni trovano un percorso
tortuoso e tendono al ristagno), e per il formarsi di un film di acqua tra i due
vestiti a temperatura intermedia tra quella corporea e quella esterna,
fenomeno che riduce lo scambio termico con l’esterno.
Con quest’inedito vestito subacqueo: pantalone da 5 mm, cuffia, sottomuta
bermuda/canottiera ed una giacca da 5 mm dotata di uno strato
supplementare di tre mm, incollato sul petto e sul ventre, ho affrontato
l’immersione profonda con appena sette chili di zavorra, distribuiti sulla mia
cintura “Sado-maso” contro il mal di schiena (chiamata così dall’amico Gatto
Libero per la sua forma particolare).
D’estate con una giacca tradizionale da cinque millimetri di spessore ed un
pantalone da tre millimetri, per scendere alle stesse quote adotto
quattro/cinque chili di zavorra.
Ho raggiunto facilmente, così, i 20/25 metri di profondità ed esplorato con un
relativo confort un ambiente che, d’inverno, resta inesplorato alla curiosità
venatoria della maggior parte dei pescatori subacquei.
Giunto su una secca sulla quale, in altri racconti, ho già descritto degli
avvistamenti particolari, calo l’ancora e controllo dai movimenti dell’elica che
non vi sia un’eccessiva corrente.
Appena in acqua, dalla superficie distinguo le specchiate del dorso d’alcune
Tanute (Spondyliosoma cantharus), che in immersione si riveleranno
appartenere ad un branco molto numeroso: inavvicinabili!
L’acqua leggermente lattiginosa rende sospettosi i pesci che resistono al
condizionamento del controllo territoriale, non potendo vedere distintamente la
sorgente delle vibrazioni prodotte dal mio corpo, si tengono a distanza di
sicurezza. Provo allora con un’azione d’agguato profondo: ancora peggio!
Ogni mio movimento, pur accorto, provoca uno scarto delle Castagnole
(Chromis chromis), “pesci civetta” che informano tutti gli altri abitanti acquatici
dell’arrivo di un predatore.
All’ennesimo tentativo di avvicinare il branco di Tanute scorgo, ancora più
lontano la specchiata di due orate di grossa taglia con i loro caratteristici
movimenti alimentari a testa in giù. Tutti gli avvistamenti sono avvolti nella
sospensione che circonda il cappello della secca, come d’autunno, sulla terra
ferma, la nebbia rende fatue le forme degli animali sui crinali delle colline.
Rinuncio al tentativo di insidiare le Tanute, per spostarmi su un altro cappello,
poco distante, risalendo la leggera corrente che spazza i sommi.
Raggiungo così l’ultimo cappello settentrionale della secca, un sommo
sopracorrente oltre il quale la roccia sprofonda prima a trentacinque metri,
degradando, poi, su un altopiano a cinquanta metri di profondità.
Al primo aspetto impostato alla base della secca, intorno ai 25 metri, non credo
ai miei occhi e se non avessi la maschera li strofinerei con la mano: un branco
di Dentici si avvicina con la classica manovra avvolgente, prima i piccoli, dietro
i grandi esemplari. Le movenze però non sono quelle estive, rapide ed
aggressive: nuotano circospetti e si avvicinano con lentezza estenuante.
Che cosa avrà trattenuto un branco così numeroso sul cappello di questa
secca?
Forse, semplicemente il branco si è trovato a seguire l’abbondante
“mangianza” di pesce azzurro che popola il fronte sopracorrente della risalita
rocciosa.
La presenza invernale dei Dentici su questa secca, tuttavia, è insolita, non
unica, ma rara!
Sicuro che i Dentici di grossa taglia non si avvicineranno, senza lasciarmi
disorientare dall’abbondanza di prede, mi adeguo alla regola che ormai da anni
è al primo posto nel mio personale prontuario di professionista: “di fronte ad
un branco, mira e tira al pesce più vicino e metti a pagliolo…”
Cade un Dentice di due chili e mezzo, e sembra un ricordo lontano il rumore
del mulinello che svolge la sagola trascinata dalla reazione violenta del pesce.
In superficie, dopo averlo infilato nel portapesci in cintura, non ho ancora
caricato il fucile che mi trovo sospeso sopra una spirale di Ricciole attirate dal
rumore del pesce ferito e dall’odore del sangue.
Salgono sempre più vicino alla superficie osservandomi: quando mi immergo e
supero i primi metri, mi abbandono in una planata a foglia morta
Le Ricciole si riavvicinano dopo un primo guizzo verso il fondo e mi trovo nella
classica posizione di “Aspetto a mezz’acqua”.
I pesci passano veloci davanti alla punta del fucile, ma posso scegliere con
calma la preda.
Mentre miro penso che questa situazione può offrire un buon collaudo al
gancetto di monofilo (acciaio armonico da 1.5 mm) inserito nel foro dell’asta
per non usurare la sagola (ho ancora dei dubbi sulla tenuta dell’occhiello).
Non riesco più ad eccitarmi prima della cattura: senza adrenalina la mente
partorisce i pensieri più strani: è la senescenza?
Poco concentrato, mi esibisco in un tiro di scarsa efficacia sulla schiena, poco
sopra la linea laterale della Ricciola, così sono costretto a stancare il pesce
agendo sulla sagola dalla superficie per non rischiare di slabbrare la ferita.
Ormai agisco automaticamente, mentre cerco una spiegazione all’insolita
presenza di Ricciole e Dentici nella stagione invernale, trascino la preda verso il
gommone, poco distante, in favore di corrente.
Porterò la Ricciola sotto il
gommone aggancerò la sagola
all’imbarcazione per finirla con
un tiro del secondo fucile:
sette chili e mezzo!