Diario di Pesca n°32
AUTUNNO 2003
Premessa:
Quest’autunno piovoso è stato caratterizzato
dall’insolita presenza di numerosi branchi di
Ricciole (Seriola dumerili) di piccola taglia,
intorno alle secche al largo della costa e fuori
delle punte e dei promontori battuti dalle
correnti.
Viene spontaneo associare questo fenomeno
all’interessante colonizzazione delle nostre
coste, alla fine dell’estate, da parte d’altri
pelagici: le Lampughe (Coryphaena hippurus).
Mentre, però, la presenza di quest’ultimo
pelagico, abituale frequentatore del bacino
mediterraneo meridionale, si può collegare all’alta temperatura superficiale
raggiunta d’estate dall’acqua dei nostri mari, la colonizzazione delle piccole
Ricciole, ad una prima analisi, può risultare inspiegabile: un anno ci sono,
l’anno successivo no!
Nell’inverno del 1997, avevo già osservato e documentato nel mio video
“l’Agguato profondo”una massiccia presenza invernale di Ricciole.
Le migrazioni e le conseguenti colonizzazioni di certe zone costiere da parte di
questi branchi, presumibilmente, sono da collegare alla loro attività di
predazione sui banchi di pesce azzurro e d’invertebrati come i calamari.
Si può ipotizzare che le Ricciole vadano dietro i grandi banchi delle loro prede
che seguono gli ammassi di plancton ed essendo questo alimento poco
abbondante nel Mediterraneo, non è da escludere che la presenza delle Ricciole
sia legata al gioco delle correnti che sospingono il primo anello della catena
alimentare di tutti i mari.
I percorsi del potente pelagico, quando abbandona gli alti fondali per
avvicinarsi alle nostre coste, sono sempre gli stessi e gl’incontri subacquei, se
le correnti sono state favorevoli, avvengono sistematicamente dove si sono
svolti negli anni precedenti, diverse volte, infatti, ho raccontato in questi diari
di pesca, delle interessanti catture di Ricciole avvenute sulla secca dei Monaci
al largo dell’isola di Caprera (uno dei rari siti salvati dall’istituzione del parco de
La Maddalena che vieta la pesca subacquea ai “non residenti”).
Cronaca:
Dopo qualche anno d’assenza, quest’autunno le Ricciole sono ricomparse con
un branco numeroso d’individui di diverse taglie, fenomeno insolito dato che
questo pelagico preferisce accompagnarsi a conspecifici della stessa taglia.
Sulla secca dei Monaci, gli avvistamenti e le catture sia dei pelagici, sia dei
Dentici, avviene sistematicamente nello stesso punto: intorno ad un gradino di
roccia che da circa venti metri di profondità, cade sulla sabbia a 32 metri.
E’ una sensazione esaltante ed allo stesso tempo inquietante appoggiarsi su
questo cappello di roccia che si affaccia sullo strapiombo e trovarsi circondati
da decine e decine di pesci che ti avvolgono nel loro mulinello di controllo:
osservano il pescatore subacqueo offrendo la dimensione più grande, col loro
occhio privo di qualunque espressione animale, sfiorandolo ad una distanza
imbarazzante al punto che non si sa mai quale pesce tirare!
In questa battuta non sono solo, mi ha accompagnato Riccardo (Cyberman per
gli amici delle Mailing List), al momento delle catture si trova distante da me e
non può assistere alla scena dei pelagici che si distinguono dalla superficie,
sullo sfondo grigio scuro di un mare ormai quasi invernale.
Dall’alto individuo solo pesci di due o tre chili,
così, alla prima immersione arpiono una Ricciola
di 2.6 chili, cui ne seguiranno due di circa 5 chili
ed un’ultima di 12.
La cattura di una Ricciola, di solito, non
presenta particolari difficoltà tranne che per le
dimensioni del pesce e le violente reazioni di fuga. La tattica di caccia è quella
dell’aspetto che si può esercitare efficacemente anche a mezz’acqua, ma non è
mia intenzione scrivere della tecnica impiegata per fare avvicinare in
successione i diversi esemplari appartenenti allo stesso branco.
Un fenomeno sorprendente ha caratterizzato la cattura della Ricciola più
piccola.
Diretta verso il fondo con la freccia conficcata nel corpo, mentre io in risalita
controllavo che la sagola non si attorcigliasse su qualche sperone di roccia, la
Ricciola ferita è stata avvicinata dalle compagne di branco, della stessa taglia,
che la hanno seguita da vicino, quasi a sostenerla.
La distanza tenuta nel nuoto tra i vari esemplari di un branco di pelagici
dipende dalle loro dimensioni, per pesci di due o tre chili, solitamente, non è
inferiore al decimetro. Si possono compattare per scopi difensivi, per un breve
periodo, però, nel nuoto di crociera, tengono tra loro una distanza maggiore
per garantirsi il controllo del circondario ed una minima possibilità di manovra.
Nel caso descritto i compagni di branco si sono spinti a pochi centimetri dal
corpo del pesce ferito.
L’impressione che ne ho ricevuto è che cercassero di aiutarlo!
Altre volte, sempre con le Ricciole, ho osservato lo stesso comportamento e mi
sono posto la domanda se fosse un riflesso condizionato, inconscio, o se il
branco, in grado di percepire la sofferenza del compagno, adottasse
coscientemente un comportamento di solidarietà e d’aiuto.
L’atteggiamento di solidarietà non è insolito tra gli animali: ricordo la scena di
un filmato naturalistico dove un elefante ferito, vicino al guado di un fiume, è
sostenuto dai compagni di branco ed una volta caduto, è sollecitato a rialzarsi
con la spinta leggera delle loro proboscidi.
La percezione della sofferenza e della difficoltà di un conspecifico tra i
vertebrati superiori, dalla gran massa cerebrale, come gli elefanti, anche se
sorprende, è nota, ma le Ricciole appartengono ai vertebrati inferiori ed il loro
cervello è centinaia di volte più piccolo e meno evoluto.
Possiamo, verosimilmente, ipotizzare che la solidarietà tra individui dello stesso
branco, nel caso delle Ricciole, appartenga alla categoria dei condizionamenti
innati, insomma, all’intelligenza della specie, adattata e selezionata nel
passaggio tra migliaia di generazioni, contenuta in particolari comportamenti
inconsci.
Sorprende, in ogni caso, che quest’automatismo comportamentale sia
presente, nella stessa forma, in specie, che nella filogenesi dei vertebrati, si
trovano molto distanti tra loro.
Questo schema comportamentale potrebbe essersi trasmesso nel passaggio
pesci-anfibi-rettili-uccelli fino ai mammiferi, come tanti altri riflessi condizionati
(rizzare il pelo per paura, defecare di fronte all’estremo pericolo ecc.).
Le differenti specie, come altra ipotesi, potrebbero avere evoluto la necessità di
adottare un comportamento solidale in quanto utile al successo dei “geni” del
branco (spesso formato da individui consanguinei).
Strutture comportamentali omoplastiche possono determinarsi
indipendentemente in seguito a processi d’evoluzione convergente.
Come terza ipotesi, si può ritenere che in una forma primitiva il pesce avverta
la difficoltà di un conspecifico riconosciuto appartenente allo stesso branco e
metta in atto un atteggiamento solidale.
L’etologo Antonello Cossu ha avanzato un’altra interpretazione che si collega
alla capacità degli animali di riconoscere un evento irregolare:
“ La semplice forma d’intelligenza in
possesso dei pesci, porta loro ad
interpretare i fenomeni e gli
avvenimenti circostanti secondo un
rapporto causa-effetto tarato e validato
nel corso dei tempi. Ogni circostanza
della vita è per loro riconducibile ad un
determinato processo radicato nei loro
geni. La particolare circostanza in cui il compagno muore, si dibatte con
un’asta che gli attraversa il corpo o comunque in modo anomalo, non trova
posto nella classificazione degli eventi che il resto del branco possiede e porta
loro inizialmente ad avvicinarsi per cercare di vedere meglio e meglio
comprendere quello strano modo di morire del compagno, e successivamente a
mostrare diffidenza verso la fonte che ha generato tal comportamento
anomalo, il pescatore subacqueo per l’appunto.”
In effetti, dopo la prima cattura i pesci del branco non si avvicinano più a tiro
e, presumibilmente, intuiscono di aver osservato un evento fuori dei canoni
della predazione naturale.
Le catture successive, difatti, si effettueranno sugli individui che si trovavano
lontani dal primo pesce arpionato.
Queste osservazioni portano a supporre che anche i pesci riescano a collegare
l’effetto alle cause che lo ha prodotto, altrimenti dopo ogni cattura, tutti i pesci
di un branco si ripresenterebbero di fronte al fucile del subacqueo.
Scrive E.M. Macphail in “Brain and Intelligence in Vertebrates”
“L’intelligenza è una proprietà degli organismi animali che si manifesta nella
loro capacità di adattarsi a nuove circostanze […] l’attitudine a discriminare e
rispondere in modo appropriato a sollecitazioni ambientali, cioè la capacità di
riconoscere la regolarità tra eventi collegati casualmente gli uni agli altri […]
Non si può concludere che i pesci sono di capacità intellettuali inferiori in base
al fatto che sono filogeneticamente distanti dai mammiferi […]”