Diario di Pesca n°40
Il cambiamento che, quotidianamente, in mare stanno percependo tutti i
pescatori subacquei è la progressiva riduzione degli incontri con i pesci oggetto
di cattura: in questi ultimi tempi, quando occasionalmente ci ritroviamo lungo
le nostre rotte di pesca, dal gommone, il più delle volte, ci scambiamo
informazioni desolanti.
Ritornati sulla terra ferma, poi, occhi a terra e visi truci, ci vergogniamo quasi
di scaricare quel popò di attrezzatura per non aver preso nulla o quasi nulla.
E’ colpa del tempo… della luna piena… dei pescatori professionisti che
impestano le coste di reti che bloccano gli spostamenti naturali dei pesci… è
colpa del gatto!
Sono tutte scuse, in questi ultimi anni si è innescato un fenomeno che non ho
ancora compreso bene, ma di cui sto prendendo coscienza lucidamente.
Lasciamo da parte le catture… mancano gli avvistamenti!
Qualche anno fa, in una battuta di pesca, potevi avvistare cento pesci per
prenderne cinque, oggi non ne vedi cinque, per non prenderne, a volte,
nessuno…
Cosa sta accadendo?
A mio avviso più fenomeni concorrono a determinare questa situazione:
1. Troppi parchi di grandi dimensioni.
Sembra un paradosso! Per anni ci hanno ripetuto che i parchi marini e le
AMP avrebbero funzionato da polmone e avrebbero ripopolato le zone
costiere, invece, tutte le zone adiacenti a queste aree protette si stanno
svuotando!
Che i pesci fossero animali astuti, lo abbiamo saputo da sempre: ora,
sulla loro pelle, hanno imparato dove inizia e dove finisce un parco e lo
stanno usando come ultimo rifugio. Quando di un branco di saraghi ne
prendiamo uno e gli altri scappano, i fuggitivi hanno imparato e
memorizzato una lezione che non dimenticheranno e fuggendo da una
fucilata all’altra alla fine si ritroveranno dove nessuno li disturba.
Obiettivo raggiunto, diranno i biologi e tutti i sostenitori delle aree
marine protette!
Potrei essere d’accordo su questa valutazione se ciò non determinasse un
mutamento sensibile delle biocenosi circostanti e soprattutto se questi
superstiti non finissero nelle maglie di chi può pescare in questo loro
ultimo rifugio, diventato una novella riserva di pesca per i pescatori
professionisti residenti!
Si può obiettare: sono pochi pescatori e nonostante il loro prelievo,
mettendo il naso sott’acqua si vedono ancora moltissimi pesci.
A guardarli bene però sono quasi tutti pesci di grossa taglia per la loro
specie e facendo due conti ci si accorge che in molti casi sono pesci nati
prima dell’entrata in vigore delle aree protette: una cernia di 15 chili ha
più di vent’anni, un dentice di cinque anche lui ne ha
approssimativamente 20!
Non è biomassa creata nell’area protetta, ma reclutata dalle zone
limitrofe, in molti casi in quelle profonde dove avevano trovato un primo
rifugio.
La maggior parte dei pesci che insidiamo, si sa, può vivere anche a
40/60 metri di profondità, ma a quelle quote l’acqua è più fredda e il
particolare metabolismo dei pesci endemici delle nostre coste (specie
peciloterme) porta all’accrescimento dell’animale solo quando si trovano
a vivere sopra i 20/22 gradi centigradi, tuttavia pur di salvare la pelle…si
adattano a vivere in habitat meno favorevoli.
I pesci, però, cercheranno sempre il basso fondo sia per ragioni
metaboliche ma anche trofiche: il basso fondo con più luce ed ossigeno è
più ricco delle specie che si trovano nei più bassi livelli delle catene
alimentari: più cibo…che ora, nei parchi, vanno ad ingrassare grossi
individui adulti.
E gli esemplari giovani, dove sono? Nelle zone limitrofe di basso fondo,
dove al pescatore subacqueo non interessano: per tutta la primavera nei
miei “aspetti” sul fondo sono stato circondato dai branchi di saraghi
fasciati da 100 grammi.
Quello che sostengo è che nessuno ha una bacchetta magica, il pesce
non nasce dal nulla in poco tempo: la produttività del Mediterraneo è
quella che è ed il ripopolamento necessariamente va incontro a tempi
molto lunghi e sarà frutto di provvedimenti, a mio parere, molto diversi
della istituzione dei parchi marini.
2. E’ aumentata la pesca illegale.
Mi riferisco in questo testo a quella che ci riguarda direttamente, fermo
restante che è sempre una minima parte rispetto al prelievo complessivo
della pesca professionale.
E’ innegabile, tuttavia, che la nostra presenza sott’acqua crei reazioni
diverse nei pesci, da quella di una rete, di un palamito o di una nassa,
attrezzi per la pesca molto più subdoli e meno individuabili dagli organi
sensoriali dei pesci: siamo grossi ci muoviamo come un predatore
naturale e facciamo rumore. L’arpionamento di un pesce, poi, è un
evento traumatico per tutti i compagni di branco e porta ad una fuga
disordinata.
La nostra azione e successivamente la nostra presenza allontana verso
fondali profondi tutte le specie cacciate dalla pesca subacquea. Le
“allontana” non ho detto che le elimina, come sappiamo solo una
piccolissima parte di ciò che s’incontra sott’acqua poi finisce nel nostro
cavetto portapesci!
Per un po’ di tempo, i miei consigli di pescare all’alba hanno dato i loro frutti: è
uno dei momenti più vulnerabili per i pesci ( è inutile che ripeta i concetti già
espressi nei video e negli articoli precedenti), anche in ragione dei loro scarsi
incontri, in quel momento della giornata, con l’Homo predator aquaticus, un
po’ di tempo fa, molto meno mattiniero.
Attualmente tutti si alzano all’alba!
Dal pontile dove tengo ormeggiato il mio gommone, e dove stranamente
tengono anche il loro, più di dieci equipaggi di pescatori subacquei…alle prime
luci dei week end sembra che parta una gara di campionato italiano.
I pesci, nelle zone dove solitamente pesco, hanno imparato così che l’alba è un
brutto momento per avvicinarsi alla costa, ed ora è diventata più redditizia la
pesca subacquea al tramonto…
Già la nostra presenza crea scompiglio (anche in ragione del livello e della
tecnica di pesca impiegata dal singolo pescatore), poi alcune tecniche illegali
hanno rappresentato e rappresentano tuttora, un vero sconquasso!
L’aiutante del gestore del pontile suddetto, un po’ di tempo fa, non so se per
sfottermi dei miei rientri a mani vuote, male interpretati per uno della mia
fama…un giorno mi dice:” I tuoi colleghi ormeggiati due posti più in là, ieri
sono rientrati con una decina di orate tra il chilo e i due chili, una pescata
d’altri tempi…” Destino vuole che qualche tempo dopo un mio cliente che li
conosce bene mi confermi: “Si! prendono un sacco di pesce, ma stanno tutto il
giorno alternandosi attaccati al gommone a far trainetta!”
Ho già descritto questa tecnica di pesca illegale e a dir poco non sportiva, ma
al di là del pesce catturato facendosi trascinare dal gommone, immaginate che
reazione può scatenare sui compagni di branco dei pesci catturati: due
equipaggi di questo tipo svuotano della presenza di pesci chilometri e
chilometri di costa!
Molti colleghi pescano ancora di notte.
Tempo fa sulla “nuova Sardegna” quotidiano locale, si leggeva la lacrimevole
storia di una madre che aspettava tutta la notte il figlio che era andato a
pescare con le bombole. Nell’articolo si racconta che è stato salvato dalla
Capitaneria di porto, all’alba, aggrappato ad un salvagente con ancora le
bombole in spalla, nella zona “A” di massima tutela della AMP di Tavolara- capo
Coda cavallo.
Solo il giorno dopo il direttore della AMP chiarisce sul quotidiano che il
suddetto ha violato più volte la legge ed andrà incontro alle
conseguenze giudiziarie del caso, ma questo oscuro personaggio
nullatenente, colleziona verbali e non si scompone, d’altra parte in
Italia sono a piede libero anche gli assassini!
Molti pescano con le bombole.
Ho smesso da anni di recarmi a pesca a capo Figari posto molto suggestivo,
con una parete calcarea che sprofonda verticalmente nel blu fino a venticinque
trenta metri di profondità (mi sembra, nei miei documentari di non aver mai
girato la scena di una cattura in quei fondali). I pesci stanziali sono quasi
scomparsi per le visite costanti di qualche pescatore con le bombole che si
mimetizza con le visite guidate dei diving. Mi è capitato di incontrarlo in un
tratto di “pesca a staffetta” (quando il compagno di pesca ormeggia il
gommone 500 metri più avanti e finito il mio tratto lo vado a recuperare).
Rasente alla parete, mi imbatto in una barca in vetroresina ancorata alla base
della parete con un fucile oleopneumatico vicino all’ancora, a bordo il tipo che,
innocentemente, sta indossando le bombole come per una immersione
ricreativa. La stessa scena capita un’altra volta al mio compagno di pesca nel
suo tratto di staffetta e sul gommone mi confessa l’intenzione repressa di
prender il fucile per gettarlo al largo.
Che qualcuno dei diving peschi, è risaputo…la riprova è che, se durante una
battuta di pesca in apnea capita che arrivi ad immergersi vicino un gruppo di
“bombolari”, immediatamente tutto il pesce visibilmente si allontana di fretta e
conviene uscire, e chiudere la battuta di pesca.
Non è il rumore delle bolle che spaventa il pesce, addirittura nella secca delle
cernie nel parco di Lavezzi, quando era invalsa l’abitudine di dar loro da
mangiare (uova sode e latte in polvere), al primo rumore delle bolle
dell’erogatore tutti pesci si avvicinavano…L’esperienza dei cani di Pavlov
insegna…è un riflesso condizionato alle fucilate!
A questo punto il lettore si chiederà: E’ un diario di pesca o un lamento di
Sofocle?
Racconto allora l’esperienza di una immersione di fine agosto che introduce
l’ultimo approfondimento sulla carenza di pesce, almeno del tratto di mare che
frequento più spesso.
Sono ormai alle ultime scene del video “agguato profondo 6”: Pisciottu mi ha
attaccato il virus della documentazione subacquea della mia attività di pesca!
In primavera ho terminato di girare “agguato a orate e spigole dalla superficie”
e continuo a “girare”. E’ una attività che mi piace, indipendentemente dal
ritorno commerciale della vendita dei video, che purtroppo non c’è per colpa
della pirateria. Sto archiviando tutti i miei documentari in un PC con tre
terabyte di memoria, in attesa di uno sbocco. Non riesco più a pescare senza la
videocamera, sicuramente è una malattia!
Ho raccolto un’ora di catture filmate per lo più tra la fine di giugno e la metà di
luglio, poi più niente! E’ più di un mese che non raccolgo documentazioni
apprezzabili: qualche denticiotto, qualche ricciola di piccola taglia (quattro
chili). Mi alleno per la fine stagione quando i mutanti se ne saranno tornati
nelle loro metropoli e l’unica persona bipede a vista sarà il mio operatore
“Cico”.
Ho appena terminato alcune immersioni su poche isole di rocce sparse su un
fondale di posidonia e sabbia tra il Mortorio e la meda degli isolotti dei Poveri:
le solite corvine e saraghi che si spostano tra u gruppo di rocce e l’altro,
nessun tiro, quando mi torna in mente una striscia di rock beach che avevo
trovato molti anni prima e non avevo più rivisitato perché nelle ultime
immersioni mi aveva un po’ deluso.
Non ricordo le mire esatte, ormai dimenticate… ecoscandaglio in funzione
controllo il fondale, nel punto più basso, mi ricordo che l’arenaria arrivava a 32
metri in quello più alto a 29, intorno sabbia…Questione di minuti e la striscia
verrà fuori.
Invece, l’ecoscandaglio da 33 metri, fondo piatto di sabbia, risale a
26.8 metri, roccia! Guardo la costa per controllare se ho sbagliato la
zona da perlustrare e mi rendo conto di trovarmi su una secca che
conoscevo: sono sopra un panettone roccioso in mezzo ad una distesa.
In acqua… Scendo fino sul cappello senza percepire alcun termoclino e mi
accorgo subito che la zona è vergine!
Insomma, mi piace pensarlo …un branco di corvine di taglia superiore al chilo e
mezzo con un mostro di tre chili si aggira alla base del panettone, una cernia di
sei chili mi fissa interdetta e come in un libro di Chatwin sembra dirmi: che ci
fai qui? Mi guardo in giro perché il primo pensiero e rivolto ai dentici. La cernia
mi tenta continuando a fissarmi in “candela”… Risalgo.
In un secondo tuffo esploro a mezz’acqua i bordi della secca sul lato verso il
mare aperto, qui degrada leggermente con massotti appoggiati sulla sabbia,
mentre sul lato di terra la roccia forma un gradino ripido con quattro o cinque
metri di caduta sulla sabbia.
Il terzo tuffo vado deciso su uno dei massi sul lato esterno e mi fermo a
trentuno metri di profondità.
Poi… godo!
Sono tornato indietro di trenta anni e mi rivedo giovane con le pinne in gomma
e la maschera “Falco”.
Durante la discesa scorgo due murene, versione pitone, che stanno sdraiate
una sull’altra, cosa faranno?...
Poco prima di atterrare due cerniotte si infilano di scatto sotto il grosso sasso
sul quale mi appoggerò e ne esce spaventata una corvina enorme, davanti
dietro e di fianco corvine e saraghi da chilo, altre due cernie, compresa quella
che mi fissava al primo tuffo si infilano sotto un masso appoggiato sul crinale
del panettone.
Filmo tutto e poi risalgo.
Al quarto tuffo i giochi sono fatti: o tiro un pesce… o me ne vado per non
compromettere la evidente serenità degli abitanti.
Cado sulla cernia di sei chili che avevo incontrato al primo tuffo. Dopo un primo
momento di osservazione in candela si allontana senza fretta, uso allora la
strategia di scomparire dietro un dosso e mi affaccio dopo qualche secondo, è lì
che mi osserva di nuovo. La tiro col Megajedi e non fa storie viene su tenendo
la sagola con due dita e a dieci metri dalla superficie risale da sola per la spinta
di galleggiamento della vescica natatoria.
Ho valutato in una tonnellata la biomassa presente a livello dei soli pesci adulti
che ho potuto vedere, naturalmente me ne sono andato facendo anche
attenzione a tirar su delicatamente l’ancora.
Morale?
C’è ancora qualche isola felice dove molti pesci trovano rifugio anche al di fuori
dei parchi, sono zone selezionate dalle specie ittiche per il loro isolamento e
per la manifesta tranquillità rispetto al prelievo umano e di altri predatori.
C’è, però, un aspetto negativo in questa storia: un pescatore in apnea sta
sistematicamente cercando e scoprendo tutte queste zone, munito di uno
scooter subacqueo a batteria, ecoscandaglio tridimensionale e GPS
cartografico, pesca fino a 50 metri. Un Del Bene a motore!
Il primo anno con questa tecnica ha catturato 40 cernie tra i 15 e i 25 chili per
non parlare delle piccole e delle reste di saraghi e corvine(gli mancano solo le
catture di dentici e ricciole), insomma, riesce ad azzerare le specie stanziali. Si
sta lamentando che in questo secondo anno non sta andando come nel
precedente.
Magra consolazione! Non ha ancora trovato lo scoglio che ho appena descritto
e chissà quanti ne resteranno ancora finché sarà l’unico a pescare con questa
tecnica.
A sostegno delle mie tesi iniziali, allego un comunicato della ricerca scientifica
riferita ai pesci.
LONDRA - Il pesce non è quell'animale stupido e smemorato che tutti
pensano. Ha una memoria che può durare fino a tre anni, una sua personalità
e una capacità di imparare dalla vita vissuta. Le prove sono scientifiche, e
arrivano dall'Università di Liverpool. Secondo uno studio sulla trota arcobaleno
("Oncorthinkhus mykiss", detta anche "iridea" o "salmonata"), diretto dalla
biologa marina Lynne Sneddon, i pesci possono essere spavaldi o timidi, curiosi
o passivi, comunque capaci di cambiare carattere a seconda delle esperienze
dirette o indirette che affrontano. E questo potrebbe spiegare anche le alterne
fortune dei pescatori a caccia di prede.
Dai test eseguiti è venuto fuori che le trote più estroverse non si preoccupano
di avvicinarsi a cibi considerati "insoliti", e corrono dunque il rischio di venire
catturati. Al contrario, i pesci più riservati mostrano maggiore diffidenza.
Inoltre, lo studio ha dimostrato che per questa famiglia di pesci l'esperienza
insegna. "L'idea che i pesci possono ricordare soltanto per pochi secondi è un
mito", dice Lynne Sneddon al "Times", "gli studi hanno dimostrato che possono
memorizzare qualsiasi cosa fino a tre anni di distanza, e il pensiero dominante
nella biologia marina ormai afferma che hanno diverse personalità. Alcune
trote sono coraggiose, altre timide.
Le prime si prendono dei rischi, sono veloci nell'apprendimento, più attive e
aggressive. Le seconde sono caute e riservate, e passano molto tempo al
riparo da imprevisti. Entrambi poi apprendono dalle situazioni concrete:
modificano il proprio carattere in base a quel che imparano da soli o dagli
altri". L'esperimento eseguito dal gruppo di Liverpool, che sarà pubblicato sul
prestigiosa rivista scientifica "Proceedings of the Royal Society", è stato
suddiviso in tre fasi. Nella prima, i ricercatori hanno messo nelle vasche delle
trote alcuni pezzi di "Lego" in forme ai pesci sconosciute. A seconda della
capacità e velocità di approccio degli animali con gli oggetti, sono stati
classificati come corraggiosi o timidi. In seguito, pesci dalla stessa personalità,
ma di diverse dimensioni, sono stati messi nella medesima vasca in modo che
si contendessero il territorio.
Dopo la lotta, le trote coraggiose vincitrici si sono comportate in modo ancora
più spavaldo di fronte a mangimi o prede inusuali, mentre quelle sconfitte sono
diventate più caute. Stesse conseguenze sono scaturite nell'ultima fase dello
studio. Dopo aver messo un vetro a una sola direzione in un acquario (come
quelli usati nelle carceri per il riconoscimento di criminali da parte dei
testimoni), i biologi hanno scoperto che i pesci aggressivi cambiavano il proprio
comportamento dopo aver spiato attraverso lo specchio i loro simili introversi
di fronte ad avvenimenti non abituali.